È di 2-0 la partita ingaggiata dall’“Europa”,
l’Europa cioè che conta, contro l’Italia: non c’è solo la recessione, c’è anche
la batosta in Libia. Negli interessi economici, con un paese che, tenuto a
briglia stretta, in qualche modo funzionava ed era perfino ricco, mentre da
allora è preda di bande e banditi. E nella protezione delle frontiere. Non si
contano più gli immigrati che arrivano dalla Libia sulle coste siciliane e
calabresi, quando non sono morti ignoti in mare. Un disastro, promosso da Sarkozy
e Cameron, con l’augusto patronaggio dell’aquila Obama. Che l’Italia di
Napolitano e Frattini si è pure dovuta piegare a combattere in prima linea, per
non perdere il posto.
Due disastri, fino ad ora. Quando si
farà la storia della presidenza Napolitano non s’incontreranno che disastri: la
buona volontà non risolve, ci vuole ingegno.
Per capire la portata dell’handicap
che l’Italia si è costruito in Libia basti il raffronto con la frontiera
africana della Spagna. Nel 2012 sono arrivati a Ceuta e Melilla via Marocco, percorso
semplice, 6.500 africani, a Malta e Pantelleria via Libia, traversata
rischiossima, 15 mila. Che nel 2013 furono ben 50 mila e quest’anno vanno per i centomila – più le centinaia di morti annegati, o migliaia.
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