Don
Camillo e Peppone
– Si riprometta sempre la serie ed è la sola storia politica dela Repubblica.
Non solo alla tv, neanche nei libri se ne trova altra, e nei giornali seri: la
Dc e il Pci, e nient’altro. Non c’è stato altri governo, non c’è stata e non c’è
altra sub-cultura, non ci sono stati altri aprtiti né altre personalità. Un
culto. Se Andreotti, l’anticomunista più duro, che sull’anticomunismo si costruì
anzi la fortuna politica, anche con i suoi governi della solidarietà,
appoggiati dal Pci di Berlinguer, fu ed è un’icona dello stesso Pci e dei suoi
epigoni.
Una forma di sovietismo della
memoria. Magari le due sub-culture hanno fatto anche l’Europa, il divorzio,
l’aborto, il diritto di famiglia, lo statuto dei lavoratori, il sistema
sanitario nazionale, e quando c’era l’inflazione l’hanno abbattuta.
Eurasia
–
Stalin ritagliò le repubbliche centro-asiatiche con
vari accorgimenti: spostamenti di popolazioni, nuovi confini, interconnessioni
obbligate, con l’intento non di autonomizzare le repubbliche, ma di sottoporle
in misura più o meno ampia all’elemento russo. Più di tutti nell’immenso Kazakistan,
grande quasi quanto la Russia ma desertico e poco popolato, dove i russi hanno
una presenza consistente, attorno al 25 per cento della popolazione. Il
Kazakistan si è creato una capitale, Astana, per farne un centro urbano kazako.
Fino a pochi anni fa i kazaki erano nomadi e le città-paesi erano di pescatori e
coltivatori russi, dal Caspio agli Urali.
Per Putin è una
scelta difensiva, ipotizzando Mosca come molto probabili le zone di libero
scambio che gli Stati Uniti hanno progettato per l’Atlantico e per il Pacifico,
la Ttip e la Ttp. Contrariamente all’ipotesi geopolitica dominante, Putin
ritiene che la Russia possa difendersi col nocciolo continentale, anche se
dovesse essere accerchiata senza faglie nel rim
costiero. L’Eurasia di Putin è una risposta ai due grandi progetti
americani.
Anche su questo
terreno la Russia trova convergenze con la Cina: l’Eurasia incontra la spinta cdella
Cina verso Ovest. Nuove vie verso Occidente attraverso il Kazakistan sarebbero
più brevi della transiberiana, ma Pechino le ritiene meno affidabili – l’elemento
turco Pechino teme come forza dissolvente più del Dalai Lama.
Maschilismo
– Il
maschio presumendo uguale alla femmina, sarebbero - saranno – sue anche le
funzioni femminili, a meno della gravidanza. Con la consueta finezza, Barbara
Stefanelli ne fa un quesito su “Io donna”, che però è già una risposta: perché
il padre non dovrebbe scegliere i vestitini anche della bambina, vedersi i
cartoni con lei, e sbattere insieme la frittatina, impastare il dolcetto?
Perù
–
Fa vent’anni di sviluppo ininterrotto – eccetto i tre anni di crisi dei mercati
esteri, nel 1999, nel 2001 e nel 2009. A un tasso medio annuo del 6,5 per
cento, che si conferma nelle previsioni quest’anno e nel 2015. Un boom
sostenuto dalla domanda interna, più 10 per cento circa nel 2013, più che dalle
esportazioni grezze. Con l’inflazione al 2,5 per cento. Riserve valutarie di 64
miliardi di dollari. E un debito pubblico limitato al 9 per cento del pil.
“È - vale - un Perù”, si è detto
a lungo nei secoli della ricchezza per antonomasia, quando il Perù era la terra
dell’oro e dell’argento, la ricchezza mineraria di pochi spagnoli. Era ancora
l’Eldorado per il Candido di Voltaire, che vi sbucò da un tubazione
sotterranea. Era finito nella stagnazione dopo l’indipendenza nel 1821, cioè
nella miseria per i più, i cholos, la
metà abbondante della popolazione che è amerindia, e buona parte del 30 per
cento della popolazione di sangue misto, la minuta borghesia delle poblaciones urbane, delle borgate. Ora il Perù si arricchisce
integrando i cholos e anzi grazie ad
essi. Nella geografia urbana l’élite creola o bianca si ritrae in suoi “nuovi”
quartieri isolati, lasciando le città, dopo le campagne, ai cholos. Che sono infine integrati,
politicamente e socialmente, e sono la forza del boom.
Il Perù si segnala perché è un caso
di ricchezza “creata” dal buongoverno. Uno di non molti – il più robusto, in
Cina, è l’opera di un regime totalitario. Mentre il buongoverno per lo sviluppo
si manifesta al contrario nei due paesi un tempo più ricchi e apparentemente
più solidi del Sud America, l’Argentina e il Venezuela. L’Argentina ha perso il
treno dell’Unione Europea (grano e carne), benché fosse legata all’Europa per
cordone ombelicale, formazione, cultura, ed economia, e non si è più ripresa.
Il Venezuela, che aveva costruito un’economia con le rendite del petrolio, l’ha
disintegrata con la cattiva amministrazione nel nome del vetustissimo
caudillismo.
I governi hanno un ruolo nello
sviluppo, che il mercato non saprebbe cancellare. “Il paese va avanti di notte
quando i governanti dormono”, recitava amaro “Inside Latin America”, il bestseller
del terzomondismo nel 1967, di John Gunther, uno specialista degli “insider” –
libri di attualità che restano bizzarramente sempre validi (specie il primo,
“Inside Europe”, 1936, e “Inside Usa”, del primo dopoguerra).
Turkestan
-
Dostoevskij, “Diario di uno scrittore”, inneggia a più riprese alla guerra russo-turca
del 1877-78, l’undicesima della serie, quella che “libererà” il Turkestan nell’impero
russo – la metà occidentale del Turkestan. È un destino e un dovere, dice
Dostoevskij: tutto pur di liberare dai turchi i
nostri fratelli slavi. Il ritorno della Turchia alla (relativa) potenza
economica ora un’attrazione contraria sull’ex Turkestan. Un’evoluzione che
configura il fattore più potente di collusione tra la Cina e la Russia oggi: il
Turkestan orientale, abitato dagli Ujguri, Pechino teme come focolaio di
terrorismo e insurrezione.
Yalta – Con la Crimea, la Russia si è
ripreso anche lo “spirito di Yalta”, le zone d’influenza che furono sancite
nella conferenza alleata del 4-11 febbraio 1945. Con un anno quindi di anticipo
sul settantesimo dell’accordo. Manovrando le truppe al confine con l’Ucraina,
Putin intende anche influenzare il voto
presidenziale in quel paese, incoraggiando i russi e i filorussi. Ma l’esito
della crisi non sembra più in dubbio: associata, forse, alla Ue, l’Ucraina resterà
comunque fuori della Nato e riconoscerà la grande minoranza con una struttura
federale. È la vecchia ricetta della “finlandizzazione”, ma ora in senso
attivo, di promozione della Russia, più che difensivo - come si fa valere per camuffare
vincitori e vinti.
Yalta
sarà stato il Congresso di Vienna successivo allo sconquasso della guerra, del
tramonto del bonapartismo tedesco in Europa. La divisione in zone d’occupazione
e influenza, ciò che s’intende comunemente per “Yalta”, era stata già abbozzata
a Casablanca a gennaio del 1943, e concordata a Teheran a fine novembre dello
stesso anno. Yalta sancirà, a guerra quasi finita e quindi con l’orso sovietico
dentro l’Europa, una sorta, al contrario, di cuscinetto protettivo per la
Russia. Nella forma della “finlandizzazione” più che dell’occupazione diretta,
come poi avvenne. Nel 1947, malgrado l’occupazione militare conseguente alla
guerra, Stalin pensava a uno statuto di neutralità per Bulgaria, Romania e Ungheria,
in aggiunta alla Finlandia, e a nessuna forma di controllo su Polonia,
Repubblica Ceca, Romania e Jugoslavia. La svolta avvenne nel 1948, e fu decisa
per consolidare la divisione della Germania – su cui gli Usa concordavano.
astolfo@antiit.eu
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