Eurasia
–
Va sull’asse Russia-Cina, che Pechino coltiva per bilanciare la dipendenza fino
ad ora assoluta con la potenza economica occidentale, degli Usa e l’Unione
Europea .
Lo smembramento dell’Ucraina, che
l’Europa finirà per offrire in grazioso omaggio a Putin, non rientra tanto
nella tradizionale politica russa, da Caterina II a Stalin, di avere Stati
cuscinetto non avversi alla frontiera occidentale, quanto nella strategia
dichiarata dei governanti russi di rientrare in gioco nello scacchiere delle
potenze mondiali come fulcro ispiratore dell’Eurasia. Una zona economica, a egemonia naturalmente russa,
aperta alle ex repubbliche asiatiche dell’Urss, d’intesa con la Cina. È questo
l’aspetto più importante dell’offensiva diplomatica di Putin, l’accordo
Mosca-Pechino.
Il nuovo sistema di trasporti transasiatico ne è paradigma, il sistema
ferroviario veloce detto Via della seta,
che collegherà la Cina all’Europa. Riducendo i tempi del trasporto a un terzo
dei sessanta giorni attuali e corrispondentemente il costo del trasporto, bulk
o container. Un progetto russo-cinese, con l’obiettivo di cominciare a trasportare
1,7 milioni di container l’anno già dal 2020, per arrivare a trasportare a
regime un quinto dell’import-export cinese, la metà della Cina interna, che ora
beneficia poco del boom cinese, quasi tutto costiero. Riducendo i tempi del
trasporto a un terzo dei sessanta giorni attuali e corrispondentemente il costo
del trasporto, bulk o container.
Italia
–
Agli studenti della New York University, nel 1983, un Calvino già
abbondantemente vaccinato dall’intrigo politico dava questa informazione: “L’Italia è un paese dove accadono molte
storie misteriose, che vengono ampiamente discusse e commentate ogni giorno ma
di cui non si arriva mai a alla soluzione; un paese dove ogni avvenimento nasconde
un complotto segreto, che segreto è, e segreto rimane; dove nessuna storia
arriva alla fine perché non se ne conoscono gli inizi”.
L’Italia ha una tradizione
costante di denigrazione per tutto il corso della Repubblica. Era la propaganda
del Pci, l’Italia l’ha introiettata.
Repubblica
–
Un concetto e una storia italiani, fino agli stati Uniti d’America - che
peraltro vi si ispiravano, riconoscendo il debito. Un’istituzione prima romana,
poi cristiana, medievale e rinascimentale. Con le derivate del principato – gli
ottimati.
Sovietismo
–
Perdura in alcune società (Italia), e in alcuni strati di esse (giornalismo,
università, editoria). Per un motivo, anzi per tre , gli stessi che lo storico
americano Hollander ipotizzava nell’introduzione all’edizione italiana,
venticinque anni fa, dello studio “Pellegrini politici”, nell’Urss, a Cuba e in
Cina.
Hollander partiva da un raffronto
con gli intellettuali americani “pellegrini politici”. Che caratterizza per
essere “particolarmente preoccupati di piacere”, e afflitti da “una
straordinaria attitudine a provare dei sensi di colpa collettivi per questioni
o per situazioni di cui non sono direttamente responsabili”, lo schiavismo suo tempo, il Terzo mondo povero, e allora l’apartheid un Sud Africa. “Si può dire la
stessa cosa per gli atteggiamenti degli italiani che hanno un retroterra
socio-culturale simile?”, si chiedeva Hollander, e si rispondeva: “Ne dubito”.
Gli italiani non possono avere sensi di colpa collettivi, non avendo “il peso
della colpa di essere una superpotenza, né di aver impiegato per primi la bomba
atomica, né del ricordo storco di aver trattato crudelmente gli indiani, schiavizzato
i neri”, etc.. Dubito, insiste ancora Hollander: “Forse che gli intellettuali italiani si
sentono in colpa per il fascismo, o per l’alleanza con la Germania nazista, o per
l’invasione dell’Etiopia?” Hollander dubita per una ragione precisa: “Ritengo
infatti che gli italiani, non essendo il prodotto di una cultura protestante,
siano in genere meno disposti a provare certi sentimenti di colpa di tipo
socio-politico”. Ma questo è vero forse
al contrario: l’italiano ha un senso di colpa raddoppiato, la prima colpa
essendo di non essere stato protestante.
Il secondo senso di colpa è, in
contrasto col primo, di non essere (più) povero. C’è un senso di colpa nel
dover essere cattolico, e contemporaneamente un cattolicissimo pauperismo –
quello delle origini, quello francescano, quello di sacrestia, della buona
coscienza. Ha qui le radici l’indiscriminata esterofilia. Coglie nel segno Loreto
Di Nucci, che arricchisce “Pellegrini politici” nell’edizione italiana con una
capitolo apposito. Che il pauperismo cattolico lega alla fascinazione esercitata
sui viaggiatori politici “dalle visioni di una vita pre-industriale più pura, e
più in generale dai valori rurali”, nell’Urss, a Cuba, in Cina.
Ma, alla fine, non si può fare a
meno dell’ideologia – che è, poi, in larga parte colpa e senso di colpa. Hollander
si riprende la parola con questo quesito: “Sarebbe interessante tentare di
capire la ragioni per cui gli intellettuali italiani (e quelli francesi) siano
stati relativamente poco influenzati dalla condotta sovietica in Europa
orientale dopo la seconda guerra mondiale: si tratta di una questione non
secondaria”. Già.
Perché molti erano stati fascisti
prima di improvvisarsi comunisti? Gli intellettuali italiani non solo erano “poco
influenzati dalla condotta sovietica” ma ci anelavano. Non si sono resoconti di
viaggio così entusiastici come quelli degli intellettuali italiani, alcuni
anche di grande capacità critica (Carlo Levi, Italo Calvino, Pasolini, perfino
Moravia). Il germe comune non era, e non è, il comunismo ma il totalitarismo: il
sovietismo è per questo persistente in Italia, ben oltre la sua implosione nel “paradiso
russo”.
astolfo@antiit.eu
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