Autore
– All’autofction e ai selfie Piperno aggiunge, sulla “Lettura” domenica, l’ego-surfing, o il come parlano di me.
Tutti siamo egotisti e egoisti ma l’autore di più. L’autore è come il santo,
uno che si vuole (si coltiva, si promuove): non esiste scrittura che viva di
per sé.
Italo
Calvino –
Si può dire retrospettivamente il letterato per eccellenza, pur avendo scritto
tanto di politica, e lavorato molto, fino
al 1956, per il partito Comunista. Ha poi obliterato la politica come aveva rimosso
la natura e la botanica con l’agronomia, scienze familiari che aveva coltivato
in proprio fino all’università (due anni in due prestigiose università di
Agraria, a Torino e Firenze, dal 1941 al 1943). Dopo il 1956 si sganciò dal Pci
con lentezza ma radicalmente. Il rifiuto fu come una crisi di rigetto, subito
nello stesso anno con “La gran bonaccia delle Antille”.
Il giudizio politico – quello espresso –
mantiene discreto. E limitato: si allontana con una critica ma senza
autocritica. Come se la realtà prima fosse diversa, e il 1956 l’avesse
cambiata. Nelle postume “Lettere americane” ricorderà che, “essendo pieno di
buona volontà”, s’era fatto un “dovere” di calarsi “nell’energia spietata che
muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali”.
Per scoprire poi non l’errore di una scelta ma “la pesantezza, l’inerzia,
l’opacità del mondo”.
Non aveva cercato, inoltre, un’altra
politica, se n’era semplicemente chiamato fuori. Senza che si possa sospettarlo
di opportunismo– ma prudente è, il visconte è dimezzato.Era l’impegno politico un atto della volontà, non un suo
bisogno: una fatica.
Alla lettura di
Asor Rosa, “Scrittori e popolo”, 1965, scriverà nel 1983 (ora in “Mondo scritto
e mondo non scritto”, p. 86): “Complessivamente, devo dire, vedere la corazzata
Potiomkin della letteratura italiana di sinistra colare a picco per
autoaffondamento a bandiere spiegate, con ufficiali ed equipaggi schierati sopracoperta
sull’attenti, fu un bello spettacolo. Me lo godetti senza rimpianto nuotando
con tute le mie forze per allontanarmi dal gorgo”.
Classicità
–
È umiltà? Meglio che in tanti trattati è in una lettera di Kafka a Max Brod,
autore di un pretenzioso robusto “Paganesimo Cristianesimo Ebraismo”, di cui
aveva sottoposto all’amico il dattiloscritto: “Non credo a un «paganesimo» come
lo intendi tu. I Greci, per esempio, conoscevano benissimo un certo dualismo,
altrimenti che senso avrebbero avuto la Moira e tante altre cose? Solo che
erano esseri particolarmente umili - per quanto riguarda la religione. Una
specie di setta luterana. Ciò che è decisamente divino non potevano pensarlo
mai abbastanza lontano da loro,tutto il mondo degli dei era solo un mezzo per
tenere distante dal corpo terreno tutto ciò che è decisivo, per dare aria al
respiro umano”. L’Olimpo come una camera iperbarica, per la decompressione, per
un bisogno costante di derealizzarsi.
L’Olimpo “era un grande mezzo di
educazione nazionale, che incatenava gli sguardi degli uomini, ed era meno
profondo della legge ebraica, ma forse più democratico (qui non c’erano guide e
fondatori di religione), forse più libero (li incatenava, ma non so con che
cosa), forse più umile (perché la visione del mondo degli dei faceva affiorare
questo alla coscienza: allora non siamo neppure dei, e se fossimo dei cosa
saremmo?)”. C’è una felicità possibile in terra, conclude Kafka, ed è “credere
decisamente al divino e non aspirare
a raggiungerlo”. È qui l’umiltà dei Greci: “Questa possibilità di felicità è
tanto blasfema quanto irraggiungibile, ma ad essa Greci sono stati forse più vicini di molti
altri”.
Dante – Non c’è a teatro. Se non in forma di
dizione – famose e molto popolari quelle di Sermonti, in parafrasi, e di
Benigni (ma meglio ancora, in forma più propriamente teatrale, con maschere
efficaci dei personaggi, quella messa in scena per anni da Rocco Militano nei
teatrini off di Trastevere in “Infernal Comedia”, con Maria Teresa De Clementi). Peter
Weiss ha scritto in “Inferni” di avere progettato a lungo una “Divina Commedia”.
Un dramma in tre parti ovviamente, ma con un Dante contemporaneizzato – il
teatro dopo Auschwitz: il poeta vi doveva mostrare i supplizi dei perseguitati
per la loro razza. Ma non trovò la chiave. Polverizzando i corpi, a Wiess si
polverizzava anche la parola, non ne trovava di adatte a descrivere e mostrare:
“Non era più possibile dir niente, e tutte le parole,
di qualsiasi lingua, non avevano più senso”. Ma il “dopo Auschwitz” l’’aveva
concepito per dare un’immagine alla parola, che trovava – e forse è -
soverchiante, incalzante.
È martellante. Nel “Ricordo
autobiografico” Scalfari rimemora “lo stile martellante di Dante”. Il ritmo,
che la traduzione francese di Jacqueline Risset esalta. Martellante è
l’aggettivo giusto.
Dickinson
– La
sua è la poesia attualmente più tradotta. Almeno una ventina di traduzioni sono
disponibili in libreria. Quella completa, dei Meridiani, sostituisce dal 1995
la vecchia e pregiata edizione dello Specchio, 1956, a cura e con traduzioni di
Guido Errante. Il Meridiano, a cura di m
Marisa Bulgheroni, alla quale si devono
un paio di altre edizioni meno impegnative per gli Oscar, comprende 1.775
componimenti, tradotti da Silvio Raffo (1.174), Margherita Guidacci (392),
Nadia Canfora (27). Massimo Bacigalupo (127) ha revisionato tutte le traduzioni.
Con l’aggiunta di traduzioni d’autore di Cristina Campo, Annalisa Cima e
Montale, Montale, Giudici, Luzi e Amalia Rosselli.
Feltrinelli e Bur propongono le traduzioni
di Barbara Lanati. Garzanti di S. Giorgi. Bompiani di Massimo Bacigalupo.
Passigli di Adriana Sassi. Newton Compton di Gabriella Sobrino. Einaudi di
Silvia Bre. Giunti di Alessandro Quattrone. Marsilio di Bianca Tarozzi. Se di
Nadia Campana, Editori Intenazionali Riniti di Francesco Fava. Numerose
edizioni tematiche si aggiungono di Acquaviva (quattro), ancora Giunti (tre), Crocetti, Mursia, Ancora, Via del Vento, Finisterre.Varie edizioni .
Ma la lettura è monocorde: l’idea prevalente
è che prosodia, temi e lingua discendono dalla Bibbia e dagli inni sacri. Anche
se la biografia è complessa.
Esilio
–
È il luogo del romanzo europeo, secondo la “Teoria del romanzo” di Lukáks.
L’epica classica, argomenta Lukáks, esprime culture formate, con valori chiari,
identità forti, modi di vita stabili. Mentre il romanzo europeo si fonda
sull’esatto opposto: su un società in mutamento, in cui l’eroe di una classe
media mobile e senza obblighi, o l’eroina, si costruisce un nuovo mondo – anche
se spesso è un modo vecchio da tempo e validamente abbandonato.
Ma forse non è (più) vero: più che un
mondo nuovo il romanziere si costruisce un suo mondo.
V.S.Naipaul, nato e cresciuto a
Trinidad, da famiglia indiana, Nobel per la letteratura nel 2001 in quanto
autore britannico, si gloria di non avere radici. Anche se deve il successo
all’humour caraibico dei primi romanzi. Ma i Caraibi ceto non sono una patria.
A ridosso e dopo il Nobel Naipaul ha viaggiato in India, che non gli è piaciuta
e ne ha scritto da estraneo.
Ma non solo V.S. Naipaul, tutti gli
anglo-indiani vivono a Londra meglio che in India. Gli anglo-fiorentini erano
inglesi anche alla terza o quarta generazione, gli anglo-indiani sono inglesi
subito, al primo libro.
Kafka
–
Il “problema” Kafka è il problema dell’insonnia? Più della tubercolosi certamente.
L’insonnia non è la cosa semplice che non si considera, come il raffreddore o
l’influenza. È una privazione, sotto forma di coscienza sveglia, perenne,
acuminata, e alla fine una vertigine. Calasso, “K.”, ne ha la percezione quando
dice, delle ultime settimane di Kafka: “Il tempo interno si è strappato dal
tempo esterno e corre una corsa folle, la veglia è perenne, angustiante”.
L’insonnia impone e acumina l’autocoscienza,
fino al circolo vizioso o vicolo cieco: l’ “altra veduta” del mondo, del mondo
esterno, uno scavo incessante di verità, sempre più vere, sottili, sfuggenti.
Fino all’impazzimento, per assottigliamento. Che il bisogno creativo traduce in
spasmo, anche allucinato.
Pound - Il maggior
innovatore formale, della poesia e anche della prosa, del Novecento era
soffocato dalla politica. Come il suo Dante, ma senza la sua capacità di
padroneggiarla. Ne è stato vittima per la seconda metà della sua vita, e lo è
rimasto.
letterautore@antiit.eu
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