Autore – È creatore più che cultore della
materia. Come dice Calvino: “Sempre scriviamo di qualcosa che non sappiamo” –
“Mondo scritto e mondo non scritto”, 114.
Avanguardie – Le ultime, nel secondo Novecento, sono
state un gruppo di potere e una goliardata. La ricerca letteraria – ancora se
ne parlava - si è esaurita nelle trovate della tarda latinità, grafiche per lo
più – roba da decadenza? Con le “contrepéterie”
e altri svaghi linguistici. I poeti si chiamarono Novissimi, che ripetevano i neoteroi padani che indignavano
Cicerone, “poeti alla moda”.
Italo Calvino - Si è iscritto da ultimo ripetutamente
alla letteratura “fantastica”, nel senso dell’immaginario e il meraviglioso. Da
ultimo nei saggi ora ricompresi in “Mondo scritto e mondo non scritto”.
Sull’esempio di “Pinocchio”, dice, che conosceva tutto ancora prima d’imparare
a leggere. Con una forte dose di compiacimento: “Il fantastico, contrariamente
a quel che si può credere, richiede mente lucida, controllo della ragione
sull’ispirazione istintiva inconscia, disciplina stilistica; richiede di saper
nello stesso tempo distinguere e mescolare finzione e verità, gioco e spavento,
fascinazione e distacco, cioè leggere il
mondo su molteplici livelli e in molteplici linguaggi simultaneamente”.
Dante – È un rabbino? Anche, perché no. Molto
ricorre alla numerologia, e qualche volta alla gematria, capitolo della Cabala.
“La Gematria è”, nella sintesi di Vinassa de Regny, “Dante pitagorico”, “diciamo
così, una scienza, che ricerca l’interpretazione simbolica numerica sia di
singole lettere, sia di intere parole, sia delle prime tre lettere di ciascuna
parola”, dilettazione di molti rabbini.
Vinassa de
Regny, che studiò il “simobolismo pitagorico” in Dante, premette: “Si dice che
vi fossero rabbini che conoscevano il valore gematrico di quasi tutte le parole
della Bibbia”. Ma non solo loro, aggiunge: “Anche i greci indulgevano a questa
moda”. E fa un esempio: “Stratone, in un epigramma che non occorre tradurre, dice
che proctos e chsisos
si equivalgono geometricamente” – ano e spada?.
“Lo”
Scartazzini, il principe del commento dantesco, Vinasse de Regny dice “frigido
calvinista”. E lo era. In perpetua lite, per il rigorismo, con le tante
autorità teologiche dei cantoni svizzeri tra i quali vagò, Graubünden, Berna, Coira,
Aargau.
Editoria
–
Il libro digitale ne ha mutato i connotati. È un industria di servizi:
redazione, grafica, impaginazione, promozione. Più i servizi tipografici, con
la fondamentale innovazione del print-on-demand,
sia pure una sola copia. Mentre vede scemare rapidamente il ruolo classico di
scelta e proposta, di indirizzo. Non sarà presto grande industria, ma un
pulviscolo di agenzie editoriali O allora una big business, ma a fini promozionali: come marketing da un lato e
dall’altro la promozione delle vendite. L’editore che scopre e “fa” l’autore
era appena nato e già scompare, avrà vissuto due o tre generazioni.
Epica – Si nutre
delle sconfitte più che delle vittorie. A partire dall’“Iliade” e fino a
Parsifal e ai Nibelunghi. Poi l’epica è scomparsa. Con il ciclo discendente
dell’Europa nel Novecento. La sconfitta si celebra nelle fasi ascendenti della
storia, di espansione o conquista: ricorda le sofferenze e agevola la
magnanimità.
Esilio – Cicerone ne fa le lodi – “I paradossi
degli Stoici”, II: “L’esilio è terribile agli occhi di colui che è come circoscritto
in un luogo determinato, ma non può esserlo per chi guarda l’universo come una
sola città”. Lui però ne approfittò per una manovra politica, per prepararsi un
ritorno acclamato.
Galileo – Leopardi lo voleva filosofo: “filosofo
e scienziato” lo disse nella “Storia dell’astronomia”, 1813: “Galilei era filosofo, era matematico”. Leopardi aveva
allora quindici anni, ma aveva letto Galileo.
Nello “Zibaldone”
lo dice ripetutamente, dandolo per scontato: Galileo
è “il primo riformatore della filosofia e dello spirito umano” (1 dicembre
1828), oltre che “forse il più gran fisico e matematico del mondo” (1821) – e
grande scrittore, per la sua «precisa efficacia e scolpitezza evidente» (1818)
e per la «magnanimità e di pensare e di scrivere» (1827).
Lacrime
–
Vanno per sette? “Sette fiasche di lacrime ho colmate” è di Carducci, al
ricordo della fiabe della nonna. Si piange molto in letteratura, più che non si
rida – ride il lettore ma raramente il personaggio. Ma sette va bene con le
fiabe e con le lacrime: John Dowland, “baccelliere in musica” e allora
“liutista dell’altissimo principe Cristiano Quarto re di Danimarca”, ne fece una composizione
per liuto, viole e violini, di pavane, gagliarde e allemande: “Lachrimae or
Seven Tears”. Forse di sconforto alla morte della regina Elisabetta, nello
stesso anno 1603, il 24 marzo. In linea con una tradizione poetica, di cui era
stato ultimo interprete Wiliam Hunnis, “Seven Sobs of a Sorrowful Soule for
Sinne”, i sette singhiozzi di un’anima afflitta per i suoi peccati. Tre anni
dopo Dowland, anche John Coprario
comporrà sette “Funeral Tears”.
Leopardi
–
Romanziere? Era un’idea di Giulio Bollati, dice Calvino. Poi Bollati non ne
scrisse. Calvino invece, pur escludendo l’ipotesi, per rispetto all’amico,
nella nota radiofonica “Mancata fortuna del romanzo italiano” (1953), ne
sintetizza il romanzesco persuasivamente nella nota allo stesso testo per la
pubblicazione (ora in “Mondo scritto e mondo non scritto”): Leopardi aveva le
chiavi del romanzo, “le grandi componenti del romanzo moderno, quelle che
mancavano a Manzoni”. E ne fa l’elenco: “la tensione avventurosa” (l’islandese
in Africa, la notte dei cadaveri viventi nello studio Ruysch, la notte sulla
tolda di Colombo), “l’assidui ricerca psicologica introspettiva, il bisogno di
dare nomi e volti di personaggi a sentimenti e ai pensieri suoi e del secolo”.
E la lingua: “La via ch’egli indicò fu quella dei massimi effetti coi minimi
mezzi, che è sempre stato il gran segreto della prosa narrativa”..
letterautore@antiit.eu
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