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mercoledì 23 aprile 2014

Letture - 169

letterautore

Italo Calvino – “Volevo essere il Chesterston comunita”, assicura ancora nel 1959 (questionario “Nuovi Argomenti” sul romanzo). Ma aveva avuto presto un rifiuto della politica tanto radicale quanto trascurato dagli studi. Specie per uno che era stato giovane fervente militante del Pci, ai congressi della gioventù a Praga, in viaggio per l’Urss, in molteplici attività giornalistiche e editoriali per “l’Unità”, “Rinascta”, “Il Contemporaneo”.  Nel 1967 si allontana, stabilendosi a Parigi per quindici ani. Nel 1968 rifiuta i premio Viareggio, dichiarando i premi “istituzioni ormai svuotate di significato” e subito dopo si fa premiare a Asti Asti, Nizza, Mondello, Pozzale. Pubblica con Zanicheli, Franco Maria Ricci, Il Club degli Editori, la Rai, più che con Einaudi. Di cui curerà soprattutto Centopagine, una sua idea di narrazioni brevi, e a numero chiuso, per il gusto che ha sempre mantenuto di fare l’editore. Una collana che il lettore informalmente sottoscrive, seppure libero di acquistare oppure no in libreria, sull’esempio della collezione “Romantica” anni 1930, di Borgese per Mondadori. A Parigi segue Barthes, Greimas, Queneau e l’Oulipo. Passando dal “Corriere della sera” a “Repubblica” nel 1979 abbandonerà anche i temi sociali per scrivere unicamente di libri, arte, e cultura varia. Il primo intervento su “la Repbubblica” è una sorta di abiura. “Sono stato stalinista anch’io?”

Creazione - Prima di tutto è imitazione – riflessione, studio. Così la vuole Calvino nell’appassionante dialogo con Pericoli per la mostra di quest’ultimo, “Rubare a Klee” (ora in “Mondo scritto e mondo non scritto”). Magari inventata (irriflessiva). Oppure spontanea, per imprinting, ma sempre nell’alveo: “La necessità d’inventare una storia è una cosa relativamente moderna”.

Dante – È scienziato. Perché no, dice Calvino. chiudendo ai primi del 1968 una polemica su Galileo “migliore scrittore italiano”, con Cassola che lamentava l’esproprio dell’orto umanistico da te parte della cultura scientifica, e esordiva dicendo “credevo che lo scrittore migliore fosse Dante”. Calvino ricorda che l’opera di Dante è anche una cosmologia, un’immagine e una teoria dell'universo: “Questa è una vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mosso da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria”. Milton Galileo chiamava “Artista Toscano”.

Galileo – A Anna Maria Ortese, che gli scrisse lamentando i “lanci spaziali” e l’invadenza tecnico-scientifica, Calvino rispose nella sua rubrica sul Corriere della sera” il 24 dicembre 1967:  “Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare...” La cosa non piacque a Cassola che una settimana dopo, il 31 dicembre, lamentò in un articolo polemico sullo steso giornale l’invadenza della cultura scientifica e la resa dei tedofori della cultura umanista. Calvino non eragì, ma su “L'Approdo letterario” di febbraio precisò: “In primo luogo:
intendevo dire scrittore di prosa; e allora lì la questione si pone tra Machiavelli e Galileo, e anch'io sono nell'imbarazzo perché amo molto pure Machiavelli. Quel che posso dire è che nella direzione in cui lavoro adesso, trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio, come immaginazione scientifico-poetica, come costruzione di congetture”. Oggi si direbbe Galileo ottimo romanziere – per i suoi tempi certo (ma allora, per i suoi tempi, straordinario). Del resto, anche se non vuole polemizzare con Cassola, Calvino lo sa: “Galileo usa il linguaggio non come uno strumento neutro, ma con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione  espressiva, immaginativa, addirittura lirica”.

Kindle - “Sappiamo che la forma dei libri ha cambiato tate volte nella storia e che certo continuerà a cambiare”, Calvino se lo diceva nel 1984, il libo digitale era ancora da venire. La forma-libro, non l’oggetto, quello rimane. Dopo duemila anni di copie a mano, è venuto il libro a stampa, di carta, tagliato, rilegato, piccolo Ora sarà elettronico, il lettore ottico gli ha dato duttilità. Anche nell’economia: abbatte i costi, di fabbricazione e distribuzione forse in misura maggiore che il libro a stampa non fece sulla copia amanuense. Implica anche un rapporto sempre meno mediato tra l’autore e il lettore, e un ruolo circoscritto per l’editore. Il “bel lbro”, per carta, caratteri, grafica, rilegatura, durata, è peraltro scomparso da tempo, questione di costi.
Già trent’anni fa l’evoluzione era avviata: “Certo cambieranno molte cose”, scriveva Calvino, “se è vero che coi word processors i nostri libri saranno composti direttamente dalle nostre mani senza passare per a tipografia. Così come cambieranno le biblioteche”. Uno sviluppo era peraltro prevedibile, di cui però non ci sono ancora avvisaglie; sul modo di leggere. “Cambierà il nostro modo di leggere?” si chiedeva Calvino: “Forse, ma non sappiamo ancora come”. Come “rivoluzione importante del modo di leggere avvenuta nel passato” Calvino ricordava quella registrata da sant’Agostino quando si recò a trovare sant’Ambrogio a Milano, e lo trovò che leggeva muto, non ad alta voce come tutti.

Viaggio – I viaggiatori che hanno creato il genere, tedeschi, inglesi, francesi, qualche russo anche, raccontano il meraviglioso. La differenza, ma con connotato sempre positivo, sia essa pure povera, sporca, violenta o altrimenti immorale. Cercano e comunicano la novità come un esercizio di apertura mentale. In un certo, senso, anche se in razioni minime, per un senso positivo dell’avventura. I viaggiatori italiani vanno invece alla ricerca del vissuto, del noto e reputato, seppure con un pregiudizio sempre positivo: all’estero lo fanno meglio. Vanno in cerca di conferme, il più delle volte e del tempo lamentando peraltro la scomodità – era meglio godersi le stesse pratiche a casa. Poca letteratura di viaggio si ricorda, Machiavelli, Algarotti, le corrispondenze di Corrado Alvaro.

È una letteratura misoneista, di un mondo misoneista? L’italiano non si può dire misoneista, ed è anzi il più aperto alle novità fra quanti popoli europei si conoscono, ne è come goloso, perfino modaiolo, fino alla frivolezza. Sono misoneisti i suoi scrittori, sebbene esterofili. Gli scrittori italiani di viaggi sono chiusi e insieme esterofili: una sindrome denunciano di disadattamento, per la quale cercano conferme e conforto all’estero.    
letterautore@antiit.eu

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