Italo
Calvino
– “Volevo essere il Chesterston comunita”, assicura ancora nel 1959
(questionario “Nuovi Argomenti” sul romanzo). Ma aveva avuto presto un rifiuto
della politica tanto radicale quanto trascurato dagli studi. Specie per uno che
era stato giovane fervente militante del Pci, ai congressi della gioventù a
Praga, in viaggio per l’Urss, in molteplici attività giornalistiche e
editoriali per “l’Unità”, “Rinascta”, “Il Contemporaneo”. Nel 1967 si allontana, stabilendosi a Parigi
per quindici ani. Nel 1968 rifiuta i premio Viareggio, dichiarando i premi
“istituzioni ormai svuotate di significato” e subito dopo si fa premiare a Asti
Asti, Nizza, Mondello, Pozzale. Pubblica con Zanicheli, Franco Maria Ricci, Il
Club degli Editori, la Rai, più che con Einaudi. Di cui curerà soprattutto
Centopagine, una sua idea di narrazioni brevi, e a numero chiuso, per il gusto
che ha sempre mantenuto di fare l’editore. Una collana che il lettore
informalmente sottoscrive, seppure libero di acquistare oppure no in libreria,
sull’esempio della collezione “Romantica” anni 1930, di Borgese per Mondadori.
A Parigi segue Barthes, Greimas, Queneau e l’Oulipo. Passando dal “Corriere della
sera” a “Repubblica” nel 1979 abbandonerà anche i temi sociali per scrivere
unicamente di libri, arte, e cultura varia. Il primo intervento su “la
Repbubblica” è una sorta di abiura. “Sono stato stalinista anch’io?”
Creazione - Prima di tutto è imitazione – riflessione,
studio. Così la vuole Calvino nell’appassionante dialogo con Pericoli per la
mostra di quest’ultimo, “Rubare a Klee” (ora in “Mondo scritto e mondo non
scritto”). Magari inventata (irriflessiva). Oppure spontanea, per imprinting, ma sempre nell’alveo: “La
necessità d’inventare una storia è una cosa relativamente moderna”.
Dante – È scienziato. Perché no, dice Calvino.
chiudendo ai primi del 1968 una polemica su Galileo “migliore scrittore
italiano”, con Cassola che lamentava l’esproprio dell’orto umanistico da te
parte della cultura scientifica, e esordiva dicendo “credevo che lo scrittore
migliore fosse Dante”. Calvino ricorda che l’opera di Dante è anche una
cosmologia, un’immagine e una teoria dell'universo:
“Questa è una vocazione profonda della letteratura italiana che passa da Dante
a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere
mosso da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora
stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione
trasfigurante e visionaria”. Milton Galileo chiamava “Artista Toscano”.
Galileo
–
A Anna Maria Ortese, che gli scrisse lamentando i “lanci spaziali” e
l’invadenza tecnico-scientifica, Calvino rispose nella sua rubrica sul Corriere
della sera” il 24 dicembre 1967: “Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni
secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad
un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica
prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi,
gran poeta lunare...” La cosa non piacque a Cassola che una settimana dopo, il
31 dicembre, lamentò in un articolo polemico sullo steso giornale l’invadenza
della cultura scientifica e la resa dei tedofori della cultura umanista.
Calvino non eragì, ma su “L'Approdo letterario”
di febbraio precisò: “In primo luogo:
intendevo dire scrittore di prosa; e allora lì la questione
si pone tra Machiavelli e Galileo, e anch'io sono nell'imbarazzo perché amo
molto pure Machiavelli. Quel che posso dire è che nella direzione in cui lavoro
adesso, trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio,
come immaginazione scientifico-poetica, come costruzione di congetture”. Oggi
si direbbe Galileo ottimo romanziere – per i suoi tempi certo (ma allora, per i
suoi tempi, straordinario). Del resto, anche se non vuole polemizzare con
Cassola, Calvino lo sa: “Galileo usa il linguaggio non come uno strumento
neutro, ma con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione
espressiva, immaginativa, addirittura lirica”.
Kindle
-
“Sappiamo che la forma dei libri ha cambiato tate volte nella storia e che
certo continuerà a cambiare”, Calvino se lo diceva nel 1984, il libo digitale
era ancora da venire. La forma-libro, non l’oggetto, quello rimane. Dopo duemila
anni di copie a mano, è venuto il libro a stampa, di carta, tagliato, rilegato,
piccolo Ora sarà elettronico, il lettore ottico gli ha dato duttilità. Anche
nell’economia: abbatte i costi, di fabbricazione e distribuzione forse in
misura maggiore che il libro a stampa non fece sulla copia amanuense. Implica
anche un rapporto sempre meno mediato tra l’autore e il lettore, e un ruolo
circoscritto per l’editore. Il “bel lbro”, per carta, caratteri, grafica,
rilegatura, durata, è peraltro scomparso da tempo, questione di costi.
Già trent’anni fa l’evoluzione era avviata:
“Certo cambieranno molte cose”, scriveva Calvino, “se è vero che coi word processors i nostri libri saranno
composti direttamente dalle nostre mani senza passare per a tipografia. Così
come cambieranno le biblioteche”. Uno sviluppo era peraltro prevedibile, di cui
però non ci sono ancora avvisaglie; sul modo di leggere. “Cambierà il nostro
modo di leggere?” si chiedeva Calvino: “Forse, ma non sappiamo ancora come”. Come “rivoluzione importante del modo di leggere avvenuta nel passato” Calvino ricordava quella registrata da sant’Agostino quando si recò a trovare sant’Ambrogio
a Milano, e lo trovò che leggeva muto, non ad alta voce come tutti.
Viaggio
–
I viaggiatori che hanno creato il genere, tedeschi, inglesi, francesi, qualche
russo anche, raccontano il meraviglioso. La differenza, ma con connotato sempre
positivo, sia essa pure povera, sporca, violenta o altrimenti immorale. Cercano
e comunicano la novità come un esercizio di apertura mentale. In un certo,
senso, anche se in razioni minime, per un senso positivo dell’avventura. I viaggiatori
italiani vanno invece alla ricerca del vissuto, del noto e reputato, seppure
con un pregiudizio sempre positivo: all’estero lo fanno meglio. Vanno in cerca
di conferme, il più delle volte e del tempo lamentando peraltro la scomodità –
era meglio godersi le stesse pratiche a casa. Poca letteratura di viaggio si
ricorda, Machiavelli, Algarotti, le corrispondenze di Corrado Alvaro.
È una letteratura misoneista, di un
mondo misoneista? L’italiano non si può dire misoneista, ed è anzi il più
aperto alle novità fra quanti popoli europei si conoscono, ne è come goloso, perfino
modaiolo, fino alla frivolezza. Sono misoneisti i suoi scrittori, sebbene
esterofili. Gli scrittori italiani di viaggi sono chiusi e insieme esterofili:
una sindrome denunciano di disadattamento, per la quale cercano conferme e
conforto all’estero.
letterautore@antiit.eu
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