Céline – Ha fatto brutta
le guerra, tutte le guerre. Da Omero a Tolstòj la guerra ha innescato ottima
letteratura, che la guerra ha in qualche modo imbellito. Céline, che è anche
l’unico ad averla fatto la guerra, ne ha derivato buona letteratura, ottima, e
anche il disgusto – il suo lettore ne è sovraccarico.
Dante – Curvato all’eugenetica e al
“transumanesimo”, come nell’“Inferno” di Dan Brown, certamente questo non ci
sta. Ma il plot dipanato sulle
terzina della “Commedia” non è male: ce n’è per tutti.
Chateaubriand,
“Genio del cristianesimo”, non lo menziona nel pur minuzioso ritracciamento iniziale
del cristianesimo nelle lettere e le arti – anche se rapsodico: “Il Tasso,
Milton, Corneille, Racine, Voltaire vi ritracciano i suoi miracoli”, suoi del
cristianesimo (Voltaire?), “nella letteratura,
l’eloquenza, la storia, la filosofia, che cosa non hanno fatto, per sua
ispirazione, Bossuet, Fénelon, Massillon, Bourdaloue, Bacon, Pascal, Euler,
Newton, Liebniz!” Nemmeno sul tre, il numero perfetto, la Trinità, etc, Chateaubriand
trova modo di nominare Dante.
Lo ricorda
nella Parte Seconda, “Poetica del cristianesimo”, Libro Primo, Cap. II, “Veduta
generale dei poemi in cui il meraviglioso del cristianesimo rimpiazza la
mitologia. «L’Inferno» di Dante, la «Gerusalemme liberata»”. La “Divina Commedia”
liquidando come “una produzione bizzarra” – mentre Tasso, pur giovandosi di uno
“dei due bei soggetti di poema epico dell’età moderna, le Crociate” (l’altro
soggetto è la scoperta del nuovo mondo), si compara infelicemente a Virgilio.
Se qualche merito la “Divina Commedia” ha, le viene dal cristianesimo. “I suoi
difetti”, invece, “tengono del secolo e del cattivo gusto dell’autore. Nel
patetico e nel terribile” tuttavia “il Dante ha forse eguagliato i più grandi
poeti”. Ci torneremo su “nei dettagli”, promette Chateaubriand, ma nel migliaio
di pagine restanti non lo fa.
Lo
ricorderà nell’introduzione a una raccolta di Shakespeare, per il solito
parallelo Dante e\o Shakespeare: lo ricorda con simpatia, ma facendone un
isolato, in un’età minore e sbandata, alla mercé di una lingua povera, dice,
come il volgare. Poche righe in tutto, sia qui che nel “Genio”.
La
Francia ha sempre fatto poco o niente conto di Dante. Denis de Rougemont lo
ricorda in “L’amore e l’Occidente” ma perché gli serve a rivalutare i “fedeli
d’amore”, facendone un seguace.
Giustizia – “Prima l’esecuzione poi la sentenza” – sentenzia
la Regina alla penultima pagina di “Alice nel paese delle meravigie”. Alice obietta
a questa strana forma di giustizia, e allora la Regina ordina: “Mozzatele la
testa”. Ma qui finisce: “Chi se ne frega”, risponde Alice, che è intanto cresciuta
alla sua statura, “non siete che un mazzo di carte!”. E si risveglia, senza nemmeno
lo hangover degli incubi.
Proust – Chiara Gamberale può estrarne sul settimanale
femminile “Io Donna”, una serie di citazioni da baci Perugina sull’amore.
Dodici, quanti sono i segni dell’oroscopo. Senza controindicazioni: si presta.
Sono tutte massime sull’amore “femminile”.,
Reazione – Ha improntato il romanzo, che ha senso dell’ordine.
Decade oggi appunto col disordine, mentale se non sociale – oggi tutto è
romanzo, dal biscottino della nonna al viaggio in calesse, e quindi non lo è. Si
penserebbe il romanzo (la realtà alternativa, la vita inventata) uno schema
idealistico sovversivo, rivoluzionario. Invece è passatista e – nei casi
migliori: Stendhal, Proust – reazionario. Anche gli altri grandi romanzieri,
Dostoevskij, Tolstòj, Thomas Mann, Musil, per non dire Joseph Roth, sono
nostalgici. Si colma con la grandezza (genio) il fossato passatista, facendone
un innesco se non un incendio, ma il senso è ben definito – né Stendhal,
Proust, Tolstòj, Musil, J.Roth si trovano personalmente a loro agio nel loro
vissuto, nel tempo. Il buon tempo antico può essere dolce e utile, un aiuto
contro la depressione (il vuoto) o la collera, ma, antistorico, è tossico.
Riso – È molto esplorato, da Aristofane e Menandro
in poi, contrariamente all’opinione corrente. Anche in trattati, o tentativi
di, di Hobbes, Stendhal, Baudelaire, e fino a Pirandello (debole) e Dario Fo. Marginali
tutti, però, è vero, rispetto al fenomeno: riduttivi, incerti, e inutili. Il
riso è gaiezza e animo lieve.
Rivoluzione – Gli unici scrittori eversivi sono stati nel
Novecento di destra: Kipling, Céline, Pound, Hamsun. Anche in senso
politicamente corretto, del lato giusto delle cose: contro la guerra, l’usura,
il dominio, per la natura, gli indiani e gli afghani. Si sono schierati a un certo punto per il lato
brutto della storia, personalmente dunque colpevoli, ma creativi nel senso
giusto.
Shakespeare – È una tragedia greca: vittima della
monumentalità. Di suo è ben secentesco, forbito e un tantino prolisso. Ma si
rappresenta, ed è, vittima di se stesso, della genialità, rimettendoci. Ci rimette
soprattutto a essere fatto monumentale, comunque: declamato, scolpito,
polito, solenne. Anche quando lo
modernizzano – il Lear gigante, nero, baritonale, l’Amleto gay, lo Shylock già
vittima di Hitler - lo fanno solenne. Per metà è commediografo, e anzi autore
comico, ma non si ride con Falstaff, Gratiano, le comari, non più.
Stendhal – “Naturale” si vuole, e si costruisce con
l’esercizio, “come de Brosses”. Metà Settecento. Nel “Diario” lo dice a più
riprese. Con più convinzione a Milano nel 1813: “Il gusto di Dominique
(Stendhal, n.d.r.) per lo stile naturale, piacevole, o tragico nel caso, di de
Brosses non è meno certo. Dopo essersi ben tastato per due mesi, è dunque
questo lo stile che deve prendere, se vuole essere
se stesso”.
Insegue
il riso fin dall’adolescenza e la prima formazione, per dieci anni, fino ai 28,
tentò di scrivere una commedia, “Letellier”, e sul riso indagò con più costanza
fino all’ultimo. Ma non si ride in Stendhal – meno che mai nelle sue
riflessioni in tema. Anche se la colpa lui la dà al “sistema”, il Terzo stato, la
borghesia, la repubblica, gli affari – “La commedia è impossibile nel 1836” è
la sua ultima riflessione. C’è però un riflesso ironico sotto le sue narrazioni
che più si vogliono appassionate.
Traduzione – “Il sistema
più assoluto di lettura”, la dice Calvino. Non molto. Ma in traduzione, nelle
lingue che padroneggia, l’autore vede gli “errori” che ha commesso, aggiunge.
letterautore@antiit.eu
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