sabato 5 aprile 2014

Meccanica quantistica, il risvolto del reale

Giovane ingegnere al Politecnico di Stoccarda, Musil si annoiava: “Così avvenne”, scriverà una trentina d’anni dopo, “che cominciassi a scrivere”. Roba che confluirà nei “Turbamenti del giovane Törless”, e in questo “Mach”. La noia infatti durò poco: Musil lasciò l’ingegneria e Stoccarda per la filosofia e Berlino, e Nietszche per Mach, sul quale scriverà questa che è la sua tesi di dottorato. A 28 anni, due prima del “Törless”.
Mach, scienziato e filosofo, era lo specchio di Musil. Che non vi identifica, ma ne trarrà lo spirito del suo lavoro letterario: il negativo del reale. Lo sradicamento di ogni positivismo. Che non aveva più campo né nella scienza né nella filosofia. Ma la sua estruzione non è indolore per Musil, pur sempre un ingegnere.
Mach è per la scienza un po’ quello che sarà Wittgenstein per il linguaggio, un decostruttore. Sarà aspramente avversato da Lenin (“Materialismo ed empiriocriticismo”, contemporaneo della tesi di Musil, 1908-1909), e criticato da Husserl e Max Planck. Musil si limita all’esposizione, non avendo i mezzi né l’autorità per avallare o criticare. Ma con alcune preferenze concettuali. Il riferimento a Maxwell e Hertz come a fisici matematici che, pur essendo “grandi promotori… di ipotesi meccaniche”,  le vogliono mere immagini dei fatti, immagini intuitive. Lo spazio, il tempo, il movimento riconosciuti “quantità di esperienza” soltanto in quanto significhino relazione. La “cosiddetta causa” che non è mai altro che il “cosiddetto effetto” – “in natura non esiste né causa né effetto”. Anche: “Il caso della quiete è solo un caso speciale di moto”. O: “La natura esiste una volta sola”, le ripetizioni sono “astrazioni che noi operiamo allo scopo di riprodurre i fatti”. E che dire degli elementi, instabili per natura – perché i corpi si fondono, si liquefano, si vaporizzano, trascolorano, e solidificano?
Robert Musil, Sulle teorie di Mach

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