Cipolletta,
che si vuole economista, lo è, lo è stato, se ne dev’essere stancato e tira
allo scandalo. È per questo che racconta che eliminò la scala mobile nel 1992,
col suo presidente della Confindustria, Abete, e con i tre sindacati? Quando
tutti gli italiani l’avevano abolita otto anni prima con referendum.
Falso
è il falso scopo del pamphlet, che gli italiani pagano per quello che
hanno in cambio, per i servizi pubblici – che castroneria (e gli sperperi, la
corruzione, gli appalti? e i disservizi?). Falsa è la provocazione, venendo da
un ex direttore generale della Confindustria. Uno cioè che dovrebbe sapere che
l’impresa in Italia paga in tasse e affini fino a due terzi del suo reddito,
roba da regime sovietico. Troppo anche se avesse servizi di prima classe in
cambio – ma non li ha, ha solo disservizi: lungaggini, nelle procedure e nei
contenziosi, incertezze, vessazioni. Paga tanto da non riuscire più a
investire, ormai da quasi un quarto di secolo, e perde in produttività
(competitività).
L’economista
qui si vuole polemista, si vede che quella è la vocazione massima dei bambini
oggi, imitare Travaglio Ma il peggio di tutto non è questo, l’ambizione senile
del manager di farsi opinionista e apparire in televisione nei talk-show. Dietro
s’indovina il solito gioco dei quattro cantoni, lo scambio incrociato di
affidamento politico: di vecchi liberali che fanno i comunisti, mentre i vecchi
comunisti diventano liberisti, sena riserve. Come legare i servizi alle tasse?
Nemmeno all’epoca del mito scandinavo si dicevano simili castronerie.
L’Inghilterra, che tssa metà dell’Italia, ha sevizi buoni la metà?
Innocenzo
Cipolletta, In Italia paghiamo troppe tasse. Falso!, Laterza, pp. 108 €
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