Inviato
per “Vie Nuove” al Festival della Gioventù a Mosca nel 1957, e
poi ospite del Congresso degli scrittori, Pasolini non vede che anime buone. Passa
in Russia in tutto tre settimane, dal 27 luglio al 16 agosto, tra Mosca e
Odessa, con una delegazione di cui facevano parte il filosofo senatore Banfi, Sandro
Curzi, Mario La Cava, e subito si disveste dei “vizi acquisiti in secoli di
storia”, dei russi “pigri, complicati ed eccessivi come al tempo di
Dostoevskij”, per testimoniare una società “veramente diversa”. Semplice,
diretta, umile. Un’altra storia, senza più classi sociali, non sottomessa, come
si dice, a una “classe dirigente”. I russi sono i contadini padani della
domenica, naturali tra di loro come “i ragazzini nelle piazzette dei paesi”.
L’aria è pulita, il cibo sano, i rumori naturali, rapporti sinceri e solidali.
Sono
temi che riprenderà in una sezione di “La religione del mio
tempo”, la Russia contadina e antica, proponendosi di tratteggiarla “come un affresco degno delle feste del Maggio
medievali, nello spirito del “Decameron” e dei “Racconti di Canterbury””. Ma le corrispondenze sono un compitino da letteratura del “disgelo”. La rivoluzione è ottima dopo la
denuncia dei crimini di Stalin.
Pier
Paolo Pasolini, Appunti di viaggio in Urss
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