martedì 29 aprile 2014

Merkel fu la prima a visitare un lager, nel 2013

“Per i tedeschi l’Olocausto non esiste”. Berlusconi eccede, fa le gaffe, si butta la zappa sui piedi, etc., i commenti si sprecano, e del resto di Berlusconi non si dice mai male abbastanza, etc., il nostro complesso di superiorità verso quest’uomo è sempre traballante, dopo vent’anni siamo ancora lì a (tentare di) ricoprirlo di melma, e non ci basta mai. Però.
Però, la cosa è messa nei suoi giusti termini in “Gentile Germania”, le lettere non spedite alla – e dalla – Germania che compongono il libro appena pubblicato di Giuseppe Leuzzi, di cui trovate le coordinate nella navbar di questo sito, alle pp. 364-366, ultimo capitolo, “La Resistenza fu tedesca”:
“Ma la Resistenza in Germania, dove fu la più vasta, non si celebra: non ha padri né figli. Non c’è un giorno della Memoria né uno della Liberazione. Quando Frau Merkel andò infine a visitare un lager, a Ferragosto del 2013, rompendo un tabù di quasi settantanni, fu sulla strada per un comizio, senza emozione.
“Sarà giusto, chissà, la libertà è per tutti. Per Thomas Mann, per dire, cui Croce dedicò la Storia d’Europa,  storia di libertà, che la democrazia voleva ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Fatto è che, a democrazia infine accettata, i tedeschi non hanno cuore di ricordare quei morti, che poi sarebbe un giorno di ferie pagato.
“Sulle congiure, non solo quella del 20 luglio, sicuri best-seller se ne trarrebbero, e film d’azione, ma la Germania li evita. Di von Trott non sa neppure il nome, se fa zu Solz o zu Stoltz. E le pensioni riversibili ai nazisti ha liquidato più volentieri che alle vedove dei caduti per la Resistenza. Quasi se ne vergognasse. Claus Schenk von Stauffenberg, nobile svevo, letterato, liberale, si riduce a sciocco colonnello prussiano, che vile mette la bomba quando Hitler ha perduto, per pulirsi la coscienza. Come se organizzare la sovversione contro Hitler fosse un gioco. Questo non s’è detto neppure dei gerarchi che tradirono Mussolini.
“«Vogliamo un nuovo ordinamento che renda tutti i tedeschi responsabili dello Stato, e che garantisca loro diritto e giustizia»: Stauffenberg pensava invece profondo. Tanto che i suoi due fondamenti semplici la Germania Federale ancora non li ha realizzati, benché jugulata dagli americani… Che altro dire di un paese che ha diffamato l’emigrazione politica e non ha onorato i ribelli, ribelli al nazismo? Solo Brandt ricordava la Resistenza, anzi si faceva chiamare col nome di battaglia che assunse nel 1933, entrando in clandestinità e quindi emigrando, e lo hanno licenziato presto - anche per essere nato da madre nubile. Fu odiato perfino Thomas Mann a Pasadena – lo sopportano perché dà lustro.
“Ma forse, come al solito, la ragione l’ha trovata Heidegger. “Tutti parlano di tramonto”, lamentò alla liberazione nel 1945, “la verità è che noi tedeschi non possiamo sparire perché non siamo ancora apparsi. Dobbiamo marciare attraverso la notte”. E lottare: “La possibilità di indietreggiare non esiste più”. La verità è che la Germania è ancora in guerra.
“L’antifascismo dev’essere vissuto. E deve vivere, spargersi, riprodursi. Non c’è tedesco che non sia antinazista - per forza. Ma non c’è lo spirito della Resistenza in Germania. Per un senso di colpa, si spera. E invece no, ci si vergogna della Resistenza: chi scarta è malvisto. Per la storia della pugnalata alla schiena, ma è l’incapacità di essere se stessi. L’Inquisitore alcuni lo temevano, altri fra gli stessi credenti lo disprezzavano e, se potevano, lo uccidevano, per andare in paradiso”.
I lager, prima che per lo sterminio, servivano come campo di prigionia per i nemici politici, ebrei compresi, erano sul territorio nazionale, e di essi non si può sostenere che i tedeschi non sapessero: furono quasi un migliaio - due nel solo paese di Heidegger (erano nelle frazioni, ma si vedevano).

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