Divino – “L’indistruttibile in noi”, lo dice
Kafka. In una lettera a Brod, 1920, parla di una “perfetta possibilità terrena
di felicità” nel “credere al decisamente divino e non sperare di raggiungerlo”.
La stessa frase ricopiava nei quaderni come aforisma, con una variante, “credere
all’indistruttibile in noi” etc.
Esilio - L’esule è Ulisse, mezzo volontario e
mezzo no – l’esilio s’intende in fondo volontario. Più avventuroso che
ostracizzato. Uno che dell’allontanamento fa tesoro, anzi se ne fa il piacere.
Giocando però
sull’ambivalenza: si dice esilio per distinguerlo dall’allontanamento -
volontario oppure no, non importa. Poter essere al contempo radicato e
sradicato.
Lo stesso per
l’emigrazione.
È affermato dal
nazionalismo, e insieme da esso rifiutato.
L’esiliato
politico si fa forte delle radici, del rapporto negato con le proprie origini. “L’interconnessione
tra nazionalismo ed esilio è come la dialettica hegeliana di servo e padrone,
opposti che informano e si costituiscono l’un l’altro”, l’illustre esiliato in petto Edward W. Said torna spesso su
questo argomento (qui in (“The Mind of Winter. Reflections on life in exile”).
Ma insieme la sovverte e la ribalta. All’origine della questione meridionale,
includendovi ragioni e torti, sono gli esiliati dal Regno delle Due Sicilie nel
processo unitario. Simone Weil (“La prima
radice”) ha approfondito questi sviluppi: l’esilio stimola il narcisismo
e può assurgere a feticcio, a distanziarsi da abitudini, attitudini e obblighi,
un “masochismo narcisistico” che porta al rifiuto; un voler essere tanto più
agevolmente si sostituisce all’essere, con l’esilio si attutisce o si perde la
riserva morale e la prospettiva critica.
“Tutti i
nazionalismi nelle loro prime fasi si pongono lo scopo di soverchiare qualche estraniazione
– dal suolo, dalle radici, dall’unità, dal destino”, continua Said. Ma non di
riguadagnarle, non tali e quali: l’esilio condiziona le radici – la loro
memoria e il loro sviluppo. O le sclerotizza: l’esilio continuato – come l’emigrazione
– necessariamente fissa le radici, ne blocca l’evoluzione, quindi la vita. Se
continuano a vivere è in forma folklorica. Forse evocativa, anche intensamente,
ma risarcitoria e non rigenerante.
È la forma dei
romanzi, secondo Lukáks, “Teoria del romanzo”: il romanzo, forma letteraria
derivata dall’irrealtà dell’ambizione e della fantasia, è la forma dello “sradicamento
trascendentale”.
Eternità - L’eternità,
non ne sentiamo la mancanza, ma perché non sappiamo pensare senza, in realtà la
diamo per scontata.
Geografia – “Sono cresciuto in una cittadina che
era piuttosto diversa dal resto d’Italia, ai tempi in cui ero bambino”, Italo Calvino scriveva nel 1960: “San Remo, a
quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica
e cosmopolita”. Non più vent’anni dopo: “Con la guerra, San Remo cessò di
essere quel punto d’incontro cosmopolita che era da un secolo (lo cessò per
sempre; nel dopoguerra diventò un pezzo di periferia milan-torinese) e
ritornarono in primo piano le sue caratteristiche di vecchia cittadina di
provincia ligure”. Una semplice destinazione d’uso muta caratteri e modo di
essere – l’essere. I concetti di progresso, tradizione, radicamento e
cosmopolitismo vi s’intrecciano anche ribaltati di segno di valore.
Heidegger – Dice tutto, si può dire, meno che
riconoscere la verità del suo essere.
Infinito – Galileo
attestava: “È ancora indeciso (e
credo che sarà sempre tra le scienze umane) se l’universo sia finito o pure
infinito…. La mente mia non si sa accomodare a concepirlo né finito né infinito”.
Ciò gli viene imputato a eccessiva prudenza, nel quadro del Galileo traditore
intellettuale. Ma il Big Bang non è una teoria del finito, sia pure illogica?
Metafisica – È immutabile
(insondabile)? Si pone oggi come si è sempre posta – la domanda. Senza
risposte, se non “metafisiche”, cioè argomentative. La fenomenologia, che da
ultimo ha tentato l’assalto, e più di tutti Heidegger, non ha fatto che
esercitazioni filosofiche: letture dei libri di filosofia. Solo aggiornandole
all’attualità, alle questioni e le sensibilità correnti: lo psicologismo
(emozioni), l’animalità, l’ecologia.
Borges,
narratore “metafisico”, come già i pittori, ha le “perplessità chiamate
metafisiche” - nel prologo a “La rosa profonda”: il tempo, l’io, lo
specchio, lo sdoppiamento, il mondo, la vita, la morte il destino, il caso, il
divino, l’infinito, l’eternità. Che però sono la nostra realtà, dell’uomo.
Rito - Freud lo vuole
affine alla nevrosi ossessiva. Da non credente, per il rito religioso. Ma
questo è più vero della ritualità ordinaria: tic, vezzi, atti e modalità d’uso,
gusti alimentari, vestimentari, linguistici. La pratica religiosa è invece
consolatoria: socializzante, comunicativa, sia pure solo fra il praticate e il
suo Dio.
Nel
linguaggio la ritualità è invece limitativa: una gestualità vocale, scrittoria
Suicidio
-
Recente è la filosofia illuminista del suicidio, della ragione che porta alla
buona morte. Di Casanova, a suo modo: chi è bello non si uccide, diceva,
comparando ermellino e scorpione. Di Montesquieu persiano, e di Maupertuis e
Agatopisto Cromaziano: il suicidio ragionato. Benché non differente dal
Menandro che Strabone cita: “Qui non
potest vivere bene non vivat male”. Il canonico Paley, quello della
teologia naturale o creazionista, della prova divina dell’orologio, dedica al
suicidio un capitolo dei suoi The
principles of mind and political philosophy.
Il suicidio ragionato è l’odierna
eutanasia. All’origine quindi un gesto libertino, che ora si pretende pietoso,
con maggiore proprietà, trattandosi del suicidio degli altri.
Agatopisto Cromaziano ne ha fatto
l’inventario, Appiano Buonafede all’anagrafe, prete celestino di Lucca, nemico
del Baretti. Sulle orme di Johann
Heinrich Samuel Formey, tedesco della colonia francese di
Berlino, ugonotto, leibniziano, divulgatore prolisso della filosofia di
Christian Wolf, l’autore della “logica tedesca”, una logica nazionale, nel
romanzo La bella Wolfiana, il tipo
d’uomo ideale di Federico II di Prus-sia, di cui fu collaboratore,
corrispondente dei dotti dell’Europa, autore prolifico di volantini e pièces fugitives, razzista, redattore
della voce Négre dell’Enciclopedia
che influenzerà ancora Hegel a Berlino, “l’uomo naturale, nella sua barbarie e
sfrenatezza” tuonerà dalla cattedra, nemico del libero pensiero e di Rousseau,
che se ne appropriò gli argomenti nella lettera XXI della Nuova Eloisa, detta del
suicidio, e nella Dissertation sur le
meurtre volontarie de soi-même.
Entrambi erano affascinati da quanto racconta lo storico romano Valerio
Massimo, che già il Senato di Marsiglia dispensava veleni per la buona morte.
Ma né Agatopisto né Formey si suicidarono, la loro ragione era contro. “Se la
ragione potesse”, obietta Casanova, “dovrebbe piuttosto uccidere il libero
arbitrio”, invece di stare ad aspettare “di farselo col tempo amico” – il
dongiovanni usava andare in profondità, che diceva: “È singolare che per vedere
i buchi bisogna riempirli, il voto di castità è il vero peccato contro natura”.
zeulig@antiit.eu
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