Tutto quello che si fa all’università
è contro l’università, ormai da un quindicennio. Un attacco reiterato su tutto
il fronte, di cui tutto quello che si legge dà la spiega: l’università, che in
Italia è pubblica, deve morire perché cento fiori sboccino, sulle ali del
mercato. L’università, piccolo grande business, dev’essere privata. Succede da
un quindicennio all’università quello che successe trent’anni fa al Sistema
Sanitario nazionale: deve sbriciolarsi perché tutti ci guadagnino, tutti
eccetto gli utenti.
Nella sindrome di colpa che attornia
la Funzione Pubblica l’università è l’obiettivo più mirato. Almeno il 50 per
cento dell’organico (i pensionati) non è stato ricostituito per il blocco del
turn-over. L’insegnamento è demandato ai pensionati, a titolo gratuito, e a
varie forme di precariato (assegnisti, contrattisti, cultori, etc,.), con
retribuzioni che possono essere perfino di 300 € al mese, un pro-forma che
esima da contenziosi. Con esiti a questo punto deleteri, perché le funzioni universitarie, la didattira superiore e la ricerca, si deprimono in un quadr de-repressivo.
Il crcolo vizioso è stato a questo punto avviato con successo. Ma si vede che ancora non basta - l'università, direbbe Renzi, è resilient. Non si ricostituiscono più i ruoli
un po’ per il blocco del turn-over e un po’ perché ogni ministro, quindi ogni
dieci-dodici mesi, afferma di voler fare una sua riforma dell’università, cioè
di cambiare le regole. Tutto insomma concorre allo
smantellamento dell’università, l’assedio è determinato.
La campagna di stampa è in questo senso convergente e incessante. Valanghe di pagine si leggono per questo sui disservizi dei policlinici (che sono tra gli ospedali migliori), sugli abbandoni e le poche lauree, sull’emigrazione dei ricercatori, sugli edifici non a norma. E sulla piccola inevitabile corruzione: il primario nepotista, l’esame comprato, il test d’ammissione (forse) aperto. Tanto scandalo non è senza un fine, né un mandante: bisogna che tutto sia privatizzato.
La campagna di stampa è in questo senso convergente e incessante. Valanghe di pagine si leggono per questo sui disservizi dei policlinici (che sono tra gli ospedali migliori), sugli abbandoni e le poche lauree, sull’emigrazione dei ricercatori, sugli edifici non a norma. E sulla piccola inevitabile corruzione: il primario nepotista, l’esame comprato, il test d’ammissione (forse) aperto. Tanto scandalo non è senza un fine, né un mandante: bisogna che tutto sia privatizzato.
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