“Meridione è rotaia dei
miei incubi.\ Meridione è binario morto”. La fine, alle sortes vergilianae,
non è invitante. Ma non di questo il poemetto tratta. Arrivato ai quarant’anni,
Mellone si guarda allo specchio, come tutti sorpreso – essere stato, essere,
che cosa? E da domanda in domanda costruisce il suo amarcord, benché in
anticipo sull’età e la gloria. Qui rimemora l’infanzia e la prima giovinezza,
in chiave di felicità.
Questo è il terzo volet
di una narrazione delle origini. Che Mellone vuole martellare in versi, seppure
discorsivi. Ma qui più di sé al Sud, a Taranto e nel più vasto Ionio, dove è
nato e cresciuto. Il primo, “Addio al Sud”, era una vindicatio del Sud,
da polemista anticonformista – cioè, in Italia, oggi, di destra. Il secondo, “AcciaioMare”, pochi mesi prima
di questo, è una vindicatio dell’acciaio
a Taranto: “un capitolo improvviso e sofferto” contro la “minoranza rabbiosa e
urlante” che pretese la rimozione, con la chiusura dell’area a caldo
dell’acciaieria, dell’“autentica storia della più grande città industriale del
Mezzogiorno”. La cosa è incontestabile, Mellone è un meridionale che non ha
paura? Sarebbe un’eccezione – un’eccezione che sia stato accettato e tollerato,
se non come ascaro di parata. Qui parla di sé: un selfie alla moda del
momento, o un’autofiction.
La rotaia sarà del ritmo
costante, sommesso, del ricordo, “per riacciuffare i brandelli di tutto quello\
che ho abbandonato”. La lentezza che si culla, che “Italian Sud Est”, 2003,
finemente ha esplorato, il film di Fluid Video Crew (Davide Barletti,
Lorenzo Conte, Edoardo Cicchetti, Mattia Mariani) che fa evidentemente epoca,
una cifra dando infine al tempo non tempo dello Ionio, che il tempo non sottrae
ma dilata. Ma non benevolo, non con tutti. Un viaggio nello Ionio fuori del
tempo si snoda da Catanzaro Lido, “una Beirut nera di bombardamenti freschi”,
una delle “caricature di Antonio Albanese”. Il viaggio è anzi senza pietà, se non
per se stesso. E nemmeno questo: a un certo punto Mellone si mostra viaggiatore
per modo di dire, a Picerno – donde Pina? – “gagliardo paese garibaldino”, curvo
sullo smartphone, come tutti, a cesellare “hashtag molesti” sulla sua presunta
esplorazione.
Che c’entra il Meridione? Perché Mellone
si è scoperto “meridionale”. Come tutti in fuga, e un po’ spaesato, ma esule
volontario e non per bisogno. Ovvero sì, per bisogno di novità. Che “Roma”
evidentemente (“una casa posticcia”), o “Milano”, non esaurisce. E quindi,
oltre che senza tempo, senza luogo in realtà.
Lo spirito nomade ha questo difetto, che ogni tanto calano gli zuccheri.
– “che ci faccio qui?” si chiese, anche lui a quarant’anni, Bruce Chatwin che
lo epitomizza. È un Meridione in ombra, la terra degli
incubi non è il solo punto falso. La dedicatoria, alla prima pagina, è “Alla
mia terra, che è sofferenza ignota\ e amore di cieli bassi”. Non di cieli altri? Che è invece il problema:
la mancanza di applicazione. Alla forgia come alla poesia. Il cielo basso è
padano, pedemontano, montano, e la via d’uscita è il lavoro, lo sguardo
ostinato puntato sulla terra, la stalla, il martello. È nel Meridione, come
dice il pota cantore calabrese Otello Profazio, che “abbiamo l’aria”. Per non
dire della sofferenza, che purtroppo non è ignota – è confusa?
Ma sotto lo “spoon river”
il geniaccio scoppietta. Mellone si cerca e conferma nei toni del compianto. Un
lamento - di se stesso – però compiaciuto. “Il tono lapidario degli epitaffi” che
Mario Desiati rileva nell’introduzione è in realtà vocativo, i morti vivono,
anche quelli ancora viventi, di rimpianti più che di vere memorie. In prosa
poetica rapsodica, di allusioni, lampi, rimembranze non riscontrate, ghigni,
sberleffi, anatemi. Al modo di Pasolini, delle cose ordinarie e del disimpegno,
per quanto accorato, più che di Pound, l’altro poeta della modernità, dei miti,
gli eventi e i personaggi storici, culturali, cultuali. Un autoritratto in
forma di istantanee, senza tempo, senza luoghi se non dello spirito, verosimile,
anche per chi non sa del vero Mellone, comunque un personaggio: un ribelle,
nelle forme del teatro, e un dirigente Rai. Uno che andò via “non per fame” -
come diceva umile Troisi in vacanza a Firenze – già adulto, e uomo di spettacolo.
In Bmw o Audi, dice, quindi non in treno. Molti tacchi ci sono, reminiscenza
involuta del “tacco d’Italia”, sopra Taranto, il luogo della memoria.
Angelo Mellone, Meridione a rotaia, Marsilio, pp. 91 € 10
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