Contro il
“realismo”, e la polemica del realismo contro il “pensiero debole” di cui è il
coniatore, Rovatti sancisce, heideggerianamente, che il pensiero debole deve
ancora venire – Heidegger lo disse della Germania di Hitler quando perse la
guerra. In dialogo con Alessandro Di Grazia, per i trent’anni del suo fortunato
conio, nel 1983, ma non celebrativo e anzi con durezza: “Il pensiero debole è
una critica radicale del potere e di ogni volontà di potenza, a cominciare dal
potere stesso della filosofia”. È questa la sua “Inattuale”, dice anche, calco
ennesimo di Nietzsche. Ma in un certo senso, contro i presupposti, è fautore e
autore di verità: il pensiero debole è critica sociale, dice, il realismo è
legittimazione dello status quo.
Assertivo
Rovatti è anche nei confronti di Vattimo, suo coautore del reading del 1983,
praticante di due chiese, la cattolica e la comunista: “Se dio vuole , ho la
fortuna di essere sempre stato al di fuori delle sirene della religione e dei
contorcimenti del cattolicesimo” - dio minuscolo. Anche se anni luce
avanti, o sopra, Ferraris, il teorico del telefonino capofila dei realisti, che
i testi debolisti mette in uso all’avvocato Ghedini – un filosofo, cioè, che
scambia l’effetto per la causa (Berlusconi artefice dell’etica del telefonino?
o non è un profittatore? un consumatore, sosterrebbe Ghedini, l’utilizzatore finale della famosa comodità). C’è debolezza e debolezza.
Pier Aldo Rovatti, Inattualità del
pensiero debole, Forum, pp.76 € 9
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