La società non produce più individui. La società liberale. Non
da ora, la “crisi” è già degli anni 1980, del rampantismo – il dibattito che
l’opuscolo riproduce si tenne alla tv inglese nel 1986. Anzi, Castoriadis lo fa
risalire agli anni 1950: “Il cambiamento degli individui, in estrema sintesi,
si può dire che derivava dal fallimento delle tradizionali organizzazioni del
movimento operaio (sindacati, partiti e così via)”. Siamo da allora tutti io e
famiglia. Lo siamo? Il fatto è, si ricorda Castoriadis, che anche il privato è
pubblico: “Anche quando sogniamo, ricorriamo alle parole, e queste parole le abbiamo
prese dalla nostra lingua. Quel che noi chiamiamo individuo è in un certo senso
una costruzione sociale”. E d’altra parte Lasch ha appena teorizzato, 1984, l’“io
minimo”, un io “sempre più svuotato di qualsiasi contenuto, che definisce gli
obiettivi della propria vita in termini estremamente restrittivi di pura e
semplice sopravvivenza, di sopravvivenza quotidiana”. Un io ridotto alla
sopravvivenza, dunque. Ma una sopravvivenza per modo di dire, “perché
ovviamente tutti pensano alla propria pensione, ai propri figli, alla loro
educazione, a come farli arrivare…”. Una sopravvivenza ingorda. “In un mondo”
peraltro, aggiunge Lasch, “privo di una realtà solida”.
Gira un po’ la testa, in questa apocalisse. Si è ottimisti, oppure
pessimisti, anche in epoche di buona ricchezza, nulla di nuovo. Fin qui. La
novità è nella frammentazione, già consolidata, della società e della nazione
in gruppi di interesse, razziali (i neri americani), di genere (il femminismo),
ognuno esclusivo e “antisistema”. Non c’è altro da dire. Anche perché tutto era
stato già detto da Debord, “La società dello spettacolo”, 1967. Compresa, dice
Michéa, la società “mimetica e interconnessa” (Debord: “Lo spettacolo
riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato”).
La novità è il saggio di Jean-Claude Michéa, che ha voluto la
riedizione del colloquio tv e lo inquadra, richiamando Debord. La novità è la
scomparsa della politica. Ovvero l’appiattimento dela politica, e più di quella
della sinistra, sul liberalismo. La
“lotta contro il razzismo e ogni forma di discriminazione” è von Hajek, 1974,
il teorico del liberalismo. E così via, “io minimo” di Lasch compreso, e la
“dissoluzione di ogni spazio storico” di Castoriadis. Non si scappa?
Cornelius Castoriadis, Christopher Lasch, La cultura dell’egoismo, Elèuthera, pp.
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