Si parla molto di populismo,
spregiativamente, ma è una parola feticcio – uno slogan - buona a tutto, cioè a
niente, l’indignazione ha poco corso. Martinelli prova a rifletterci sopra da
studioso, ma la passione gli prende la mano, anche a lui.Il populismo è la vecchia
demagogia, sostiene. Vero. E oggi si impone perché la piazza televisiva e la
piazza digitale “atomizzano” il cittadino: lo isolano in un rapporto diretto,
fatalmente soccombente, col guru-leader. Vero anche questo, ognuno lo vede. Martinelli
precisa il concetto come una “malattia congenita” alla democrazia. È vero, fin
dai tempi, si può aggiungere, della democrazia ateniese.
È una “malattia”, una deriva parallela a quella tecnocratica, insiste Martinelli. Ed è la parte più innovativa della sua riflessione. Populismo e tecnocrazia prosperano sulla crisi della politica, e si sostengono a vicenda. In particolare quando, come è giusto, si estende la tecnocrazia alle cosiddette istanze internazionali, quale l’Europa di Bruxelles – oggetto già da anni in Germania della critica della migliore sociologia, della più europeista. Il governo “tecnico”, spiega Martinelli, prende le decisioni impopolari, di cui la politica è incapace, e così facendo alimenta l’alternativa populista. Verissimo, questo è sotto gli occhi di tutti. Ma indurrebbe a considerazioni storiche e sociologiche importanti – che Martinelli non sviluppa – sula tendenza di molti presidenti della Repubblica a delegittimare la politica facendo affidamento su questo o quel “tecnico” di loro fiducia.Non è il solo punto debole di questo “populismo”. Si penserebbe che il sociologo si chieda perché la “vecchia demagogia” attecchisce oggi, con la scolarizzazione di massa e l’eccesso, addirittura, di informazione. E invece no, la “malattia” è come un virus: in forma meno drammatica, ma in misura più estesa, conformista, si discute del populismo come un tempo, per quasi mezzo secolo, si discusse delle origini del fascismo. Confondendo sempre l’effetto con la causa – non di diventa fascisti perché si è fascisti, magari da millenni (anche questo si diceva), diventare non è essere. Lo stesso per il populismo. La passione politica c’entra perché oggi in Italia, alla fine, solo il Pd si salva da questo tipo di analisi del populismo, e questo non può essere.È un problema di mezzi e di messaggi. È un problema di linguaggi: la televisione, la rete. Ma è un anche e soprattutto un problema reale. Anzi tre problemi reali: Una recessione imposta all’Italia. Una crisi economica e politica europea che dura ormai da sette anni. La crisi dell’opinione pubblica in nessun modo congrua con la democrazia e ad essa sovrimposta, in molte forme, alcune non surrettizie. E un quarto problema reale ci sarebbe: l’immigrazione sregolata, la nuova tratta degli chiavi. Ma basti dire che di questi problemi solo i “populisti” hanno coscienza.
Alberto
Martinelli, Mal di nazione. Contro la
deriva populista, Università Bocconi, pp. 153 € 16
È una “malattia”, una deriva parallela a quella tecnocratica, insiste Martinelli. Ed è la parte più innovativa della sua riflessione. Populismo e tecnocrazia prosperano sulla crisi della politica, e si sostengono a vicenda. In particolare quando, come è giusto, si estende la tecnocrazia alle cosiddette istanze internazionali, quale l’Europa di Bruxelles – oggetto già da anni in Germania della critica della migliore sociologia, della più europeista. Il governo “tecnico”, spiega Martinelli, prende le decisioni impopolari, di cui la politica è incapace, e così facendo alimenta l’alternativa populista. Verissimo, questo è sotto gli occhi di tutti. Ma indurrebbe a considerazioni storiche e sociologiche importanti – che Martinelli non sviluppa – sula tendenza di molti presidenti della Repubblica a delegittimare la politica facendo affidamento su questo o quel “tecnico” di loro fiducia.Non è il solo punto debole di questo “populismo”. Si penserebbe che il sociologo si chieda perché la “vecchia demagogia” attecchisce oggi, con la scolarizzazione di massa e l’eccesso, addirittura, di informazione. E invece no, la “malattia” è come un virus: in forma meno drammatica, ma in misura più estesa, conformista, si discute del populismo come un tempo, per quasi mezzo secolo, si discusse delle origini del fascismo. Confondendo sempre l’effetto con la causa – non di diventa fascisti perché si è fascisti, magari da millenni (anche questo si diceva), diventare non è essere. Lo stesso per il populismo. La passione politica c’entra perché oggi in Italia, alla fine, solo il Pd si salva da questo tipo di analisi del populismo, e questo non può essere.È un problema di mezzi e di messaggi. È un problema di linguaggi: la televisione, la rete. Ma è un anche e soprattutto un problema reale. Anzi tre problemi reali: Una recessione imposta all’Italia. Una crisi economica e politica europea che dura ormai da sette anni. La crisi dell’opinione pubblica in nessun modo congrua con la democrazia e ad essa sovrimposta, in molte forme, alcune non surrettizie. E un quarto problema reale ci sarebbe: l’immigrazione sregolata, la nuova tratta degli chiavi. Ma basti dire che di questi problemi solo i “populisti” hanno coscienza.
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