Citazione - “Questa convulsione fisica, alla portata di
tutti, è prodotta dalla vista inattesa della nostra superiorità sugli altri”,
Hobbes, “La natura umana”, 1650, cap. IX. Di che rivedere tutto Hobbes – tutta
la sua saggezza.
Ma la
citazione in realtà non è di Hobbes, è della citazione di Hobbes che Stendhal
ha letto e ricopiato in Cailhave de l’Estandoux, “Art del la Comédie”, 1777.
Ora, pensare ai testi classici passati attraverso decine di copisti.
Femminuccia – A lungo si è usato, fino al promo dopoguerra,
abbigliare da femminuccia i bambini. O perché la madre voleva una bambina, o
perché il bambino era più carino coi boccoli inanellati e i ricami, e anche per
ragioni pratiche, il danno dell’incontinenza limitando al pannolino. Ma per gli
scrittori non senza conseguenze. Sartre ricorda ne “Le parole” il ritorno dal
barbiere che l’aveva trasformato “da bambina in giovanottino”: “Ci furono grida
ma non abbracci, e mia madre si chiuse in camera per piangere”. Gide se ne
ricorda spesso con fastidio, anche lui tutto boccoli e velluti. Foto graziose
di Oscar Wilde e Hemingway vestiti e pettinati da bambine ne adornano gli album
d’autore. Raymond Roussel la madre lo vestiva da servetta col piumino. Ma testimonianze
di prima del Novecento non se ne trovano, di afflizioni o piaceri – anche se la
pratica è antica.
Hobbes - Le vera citazione di Hobbes sul riso è
impossibile perché non ne dà una definizione ma fa una panoramica delle sue
varie forme e motivazioni – la “nostra superiorità” è una delle tante. Ma
pensare a Hobbes come a filosofo faceto, come Cailhave induce, non è
un’assurdità, e anzi è filologicamente forse più corretto dell’immagine severa
dall’uomo. L’arcigno teorico dell’“homo homini lupus” o della “guerra dei
mondi”, fu traduttore a 87 anni di Omero, sia dell’“Iliade” che dell’“Odissea”,
benché avesse problemi di cataratta. Dopo un assaggio di quattro libri dell’“Odissea”
a 85 anni in rime arcaizzanti. E un anno prima di una “Autobiografia” in versi
latini. Nonché autore a 91 anni, uno prima della morte nel 1679, di un “Decameron
Physiologicum”. Uno che aveva molto viaggiato in Europa. E prima del “Leviatano”, cioè della guerra civile,
sanguinosissima, si diletta di psicologia e facezie: “De humana natura”, “De
Corpore”, “De Homine”.
Joyce – O del’inutilità del
tradurre? La traduzione si riscopre opera servile, al capriccio dell’autore, e
tanto più in quanto l’autore è artificioso, balzano, irregolare. Ottavio
Fatica, l’ultimo suo traduttore, ne dice molto male – anche se, evidentemente,
anche lui s’è divertito, si vede dall’inventiva che vi ha profuso. Tradurre
Joyce dev’essere come svuotarsi. Non nel senso zen: è subire un furto e un
tracollo..
Micciché – “Micciché” – Palmieri di
Micciché – scomparso per la natia Sicilia, è a Parigi compagno di serate e
bevute di Stendhal. Che così lo ricorda nel tentativo di saggio “Sul riso.
Saggio filosofico su un argomento difficile”, compreso in “Racine e
Shakespeare”, compagno di un fou rire ”a cena da madame Pasta, una sera che la tavola si trovò
(apparecchiata) nell’anticamera”. Dove i due evidentemente erano stati
accomodati. Micciché e Stendhal furono causa del fou rire degli altri commensali, per un quarto d’ora buono, per una
storiella di cui loro soli erano rimasti all’oscuro mentre gli altri se l’erano
raccontata “sette o otto volte almeno”.
Montanelli – Fu colonialista, non
pentito – non volle accettare mai la realtà della guerra d’Abissinia, con l’uso
dei. Mentre si proclamò antifascista praticamente da sempre, contro ogni
evidenza, del colonialismo non si pentì. Da volontario nella guerra all’Etiopia
scrisse tre libri: “XX Battaglione Eritero”, 1936, “Guerra e pace in Africa
Orientale”, 1937, e il racconto “Ambesà”, 1938. Assunto infine nel 1938, dopo
vari tentativi andati a vuoto, al “Corriere della sera” su pressione di Bottai,
venne subito mandato in prova in Albania, a sostegno della politica
annessionista di Ciano, dal novembre 1938 al marzo 1939, e mandò molti articoli
di colore per la terza pagina. Scrisse anche, su indicazione dell’ambasciatore
di Ciano, Francesco Jacomoni, un libro sull’Albania, “Albania una e mille”, a
uso interno del Minculpop, nel 1939 pubblicato anche dall’editore Paravia.
Silone – Traditore? Tradì i compagni? Magari solo quanto bastava per alleviare il carcere, al fratello Romolo, ottenerne forse la liberazione. Gli storici che lo denunciano benevolmente glielo concedono. Un povero cristiano dunque, per primo lui. O i compagni, storici compresi, vogliono la sua memoria infangata?Vengono dall’Ovra i documenti che accusano Silone, cioè dalla Polizia. Ogni guscio ne nasconde un altro. Silone l’aveva scritto a proposito di Pietro Tresso, uno dei comunisti uccisi dai comunisti: “Subire per molti anni l’angoscia della diffamazione senza capitolare è la forma più difficile di coraggio”. Non è un paradosso, è un fatto.
Silone
disse anche: “Non si deve identificare la causa dei valori morali con quelli
dello Stato”. Se non che i valori sono
scivolosi, quelli morali anche tortuosi. Romolo Tranqulli, arrestato il 13 aprile
1928 senza colpe per la strage alla Fiera di Milano, solo per essere il fratello
di Secondino-Ignazio, il fratello minore, un figlio, in una famiglia decimata
dal terremoto, morì nella prigione di Procida, a fine 1932, per il trattamento
subito. Silone dunque non solo tradì i compagni e il partito, del quale era
stato fondatore ed era uno dei leader, ma si vendette per niente. Un caso
letterario, un giallo, come ora vanno.
C’è naturalmente
una prova. Una sola. Una lettera autografa. Per il resto, basta accettare che
Silone sia il Silvestri della firma: Silvestri è un collaboratore accertato
della Polizia fascista. Anche se forse ha più identità. E chi ha scritto
l’autografo? Romanzo per romanzo…
Savinio – Accade d’incontrare il signor Dido, nemico
del “profondismo”, dove meno uno se l’aspetta, in Romain Gary qua e là, e
soprattutto nel romanzo “Europa”, una trenodia avveniristica malinconica della
scomparsa dell’Europa. Anche se la radice, più o meno scoperta, è comune, Sterne.
Traduzione - Fluente in francese (e in italiano) come in inglese, Douglas Hofstdadter, il fisico teorico professore di scienze cognitive, autore trentacinque anni fa dell’ormai classico “Goedel, Escher, Bach”, spiega a ripetizione, in “Le Ton beau de Marot”, proprio usando alcune composizioni dello stesso poeta, l’impossibilità della traduzione da una lingua alla’altra: della cornice mentale (mentalità), del contesto, dell’epoca. Usa in particolare uno scherzo scritto da Marot per la bambina Jeanne d’Albret, figlia di Margherita di Navarra, convalescente dopo una malattia, “A una signorina malata”. Ma tutte le traduzioni che cita, buona parte delle quali sue, sono migliori della poesiola originaria, meno melense – l’originale è una trenodia di versi trisillabi, una misura cui giusto Palazzeschi ha trovato applicazione leggibile, al di fuori cioè della filastrocca.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento