L’“invenzione del Sud” Nicola Zitara, lo
studioso meridionalista morto quattro anni fa, dopo una vita di forte impegno
politico, limita a quella che chiama “l’espropriazione delle banche del Sud” a
opera del “capitale, gli affaristi e le banche tosco-piemontesi”. Una forma di
colonialismo.
La categoria del colonialismo
nell’unificazione italiana è costante in tutta l’opera di Zitara, a partire
dagli anni 1960, quando, abbandonate le attività commerciali di famiglia,
piccoli armatori a Siderno, si dedicò agli “studi critici” con i “Quaderni
calabresi”, che editava a Vibo Valentia col giudice Francesco Tassone – col quale fu
promotore di un esposto-querela per strage a carico di Nino Bixio. La sua
unificazione era una conquista militare, seguita dall’esproprio degli strumenti
di credito e delle terre migliori. Grazie anche a una “borghesia compradora”
meridionale - cioè correa, venduta.
Una lettura tosta, ma documentata. Il colonialismo
fu altro, ma è vero che il Sud fu “privato”, per usare un termine d’obbligo,
cioè espropriato, dei suoi risparmi. Del suo, ancorché modesto, capitale di
avviamento, senza il quale non c’è sviluppo possibile. Anche a voler
prescindere da Marx, dalla sua “accumulazione originaria” – che Zitara media,
con la borghesia “compradora” di André Gunder Frank, da Samir Amin, allora nume
del terzomondismo. Il Sud sarà stato arretrato, ma con l’unificazione fu
privato della sua accumulazione primaria, che da allora è costretto a
rincorrere in perdita, mangiandosi cioè, oltre alla rendita, ogni anno di più
il capitale, di risorse umane, fiducia, socievolezza.
Nicola Zitara, L’invenzione del Mezzogiorno, Jaca Book, pp. XIX + 479 € 32
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