domenica 11 maggio 2014

L’unità come colonialismo

L’“invenzione del Sud” Nicola Zitara, lo studioso meridionalista morto quattro anni fa, dopo una vita di forte impegno politico, limita a quella che chiama “l’espropriazione delle banche del Sud” a opera del “capitale, gli affaristi e le banche tosco-piemontesi”. Una forma di colonialismo.
La categoria del colonialismo nell’unificazione italiana è costante in tutta l’opera di Zitara, a partire dagli anni 1960, quando, abbandonate le attività commerciali di famiglia, piccoli armatori a Siderno, si dedicò agli “studi critici” con i “Quaderni calabresi”, che editava a Vibo Valentia col giudice Francesco Tassone – col quale fu promotore di un esposto-querela per strage a carico di Nino Bixio. La sua unificazione era una conquista militare, seguita dall’esproprio degli strumenti di credito e delle terre migliori. Grazie anche a una “borghesia compradora” meridionale - cioè correa, venduta.
Una lettura tosta, ma documentata. Il colonialismo fu altro, ma è vero che il Sud fu “privato”, per usare un termine d’obbligo, cioè espropriato, dei suoi risparmi. Del suo, ancorché modesto, capitale di avviamento, senza il quale non c’è sviluppo possibile. Anche a voler prescindere da Marx, dalla sua “accumulazione originaria” – che Zitara media, con la borghesia “compradora” di André Gunder Frank, da Samir Amin, allora nume del terzomondismo. Il Sud sarà stato arretrato, ma con l’unificazione fu privato della sua accumulazione primaria, che da allora è costretto a rincorrere in perdita, mangiandosi cioè, oltre alla rendita, ogni anno di più il capitale, di risorse umane, fiducia, socievolezza.
Nicola Zitara, L’invenzione del Mezzogiorno, Jaca Book, pp. XIX + 479 € 32 

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