Non si celebrano i quarant’anni
del referendum contro il divorzio – a parte Battista, l’ultimo “giapponese”. Di
un evento cioè che segnò un record storico di partecipazione, nove aventi
diritto su dieci. Che diede una maggioranza decisa a favore del divorzio, 6 a
4. E più a opera delle donne del Sud. Che sanzionò e accelerò la modernizzazione
del diritto di famiglia, e la parità nei diritti civili.
Un non evento, quindi, importante.
Per almeno due motivi: 1) Segna l’obliterazione della cultura socialista e
laica in Italia. Il divorzio fu voluto dal socialista Fortuna, e reca il nome di
Fortuna con quello del liberale Baslini. Al referendum, voluto dalla Dc, il
divorzio fu difeso da Pannella. 2) Conferma il conformismo della “cultura” ex
comunista, sotto l’ombrello confessionale. Nei media, dalla Rai ai quotidiani
locali, tutti assoggettati all’ex Dc e alle banche, ora confessionali. E nell’accademia,
tutta di rito democrat.
Il referendum fu
infatti vinto contro l’astensionismo di Berlinguer, e di questo non si può
parlare. Il capo del Pci non fece campagna per il divorzio, volutamente, contro
ogni sollecitazione in senso opposto. Il non evento conferma la pochezza della storiografia
politica contemporaneista, saldamente presidiata dal compromesso.
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