lunedì 12 maggio 2014

Quel referendum non s’ha da celebrare

Non si celebrano i quarant’anni del referendum contro il divorzio – a parte Battista, l’ultimo “giapponese”. Di un evento cioè che segnò un record storico di partecipazione, nove aventi diritto su dieci. Che diede una maggioranza decisa a favore del divorzio, 6 a 4. E più a opera delle donne del Sud. Che sanzionò e accelerò la modernizzazione del diritto di famiglia, e la parità nei diritti civili.
Un non evento, quindi, importante. Per almeno due motivi: 1) Segna l’obliterazione della cultura socialista e laica in Italia. Il divorzio fu voluto dal socialista Fortuna, e reca il nome di Fortuna con quello del liberale Baslini. Al referendum, voluto dalla Dc, il divorzio fu difeso da Pannella. 2) Conferma il conformismo della “cultura” ex comunista, sotto l’ombrello confessionale. Nei media, dalla Rai ai quotidiani locali, tutti assoggettati all’ex Dc e alle banche, ora confessionali. E nell’accademia, tutta di rito democrat.
Il referendum fu infatti vinto contro l’astensionismo di Berlinguer, e di questo non si può parlare. Il capo del Pci non fece campagna per il divorzio, volutamente, contro ogni sollecitazione in senso opposto. Il non evento conferma la pochezza della storiografia politica contemporaneista, saldamente presidiata dal compromesso.

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