Eguaglianza – È liberale prima che socialista. Il
“fondamentalismo” egualitario è liberale, è la contemporanea cultura dei diritti – i diritti
per tutti. È diminutivo ma sconfinato (sradicato). L’egualitarismo socialista
si vuole ancorato, alle cose e alla storia: lavoro, reddito, affetti,
psicologia, antropologia.
Mercato – Lo Stato ne è il presupposto. Non c’è mercato senza regole – il
mercato non realizza le eque opportunità senza regole. E dunque senza un’autorità
a esso esterna, normalmente lo Stato, oggi più Stati concorrenti. È l’equivoco
di fondo del liberalismo, che presume una continua legiferazione nel senso
dell’eguaglianza, delle opportunità, degli accessi, della competizione, con
contrappesi da rinegoziare e riequilibrare in continuazione.
Populismo – Concetto equivoco e non innocente. Poiché
disinnesca (squalifica, marginalizza, deride) situazioni di forte ingiustizia,
nel nome di non si sa che modernità o progresso. Elaborato peraltro da
un’ideologia che si nega. Si può dire il segno della confusione, se non dell’ipocrisia, del moderno delle idee e
della parola. Oggi come in tutte le epoche di depressione – che storicamente va
col declino, lo smembramento, la sconfitta di un impero, una civiltà, una
società. Bisogni reali sono appiattiti e denunciati – ridicolizzati – non da
una superiore intellettualità, ma da mezzi forti e quindi “superiori”,
finanziari, sociali (established) e mediatici, di comunicazione.
Dequalifica
una situazione dì ingiustizia, ma non la depotenzia. Naturalmente non la risolve, anzi serve a evitare d
risolverla, labellandosi diminutivamente. Marginalizzando il mondo degli
esclusi, dei non protetti, anche se numerosi e perfino maggioranza, in una
società che si vuole protettiva e garantista. Un fisioterapista in organico alla
Asl ha diritto allo stipendio mensile, alla tredicesima e agli straordinari, e
anche al tempo libero per esercitare la libera professione, quasi sempre esentasse,
in nero, mentre il bracciante e il
precario pagano anche per lui, a fronte di poco o niente.
Procreazione – Nel momento in cui da fatto naturale si trasforma
in diritto, se ne apre un mercato, . scombinando l’ordine naturale e morale.
Giacché la coppia sterile desiderosa di figli ha il diritto di ordinarne uno o
più nel mercato mondale dell’adozione, una bambina asiatica, un bambino
africano o dell’Est Europa, dove è anche possibile farsene fabbricare uno con
ventre in affitto e la procreazione assistita, a costi perfino minori che in
ospedale a casa propria e senza sofferenze, lo stesso diritto ha la coppia
omosessuale. Ma non senza disordine: si elimina dalla genitorialità la sofferenza
prodroma all’accudimento, e dalla procreazione la dipendenza. Il diritto del
bambino appena enucleato vene soppresso, in una generazione o due una famiglia
unicamente contrattualizzata si può prospettare. E a quel punto senza alcuna
ragione d’essere: il passo è breve per fare un figlio con chi più al momento
piace, magari secondo i canoni estetici dell’anno o della decade, e perfino
concepire un mercato del seme o dell’ovulo da parte di soggetti che più
piacciono, invece dell’autografo per dire, gratuitamente o per un fee – magari per un fine benefico, perché
no, come ora è l’uso.
La società
dei diritti sconvolge l’ordine naturale e morale. Va, lecitamente, oltre i
limiti posti dalla natura, ma implica, anche se non se le prospetta, una serie
di esiti etici nuovi. Tutte le forme sociali umane sono considerate sotto la
sola visuale del Diritto. Una prospettica che, contrariamente al senso comune,
non sfocia nel libertinaggio, ma nella costrizione totale, a una sorta di
monadismo semplificato imposto: l’individuo vi è sempre più assottigliato, in
una società atomizzata. Avulsa da ogni altra radice, etnica, antropologica, linguistica,
psicologica, filosofica, morale, religiosa anche, ancorata su un unico fittone, del Diritto,
egualitario per tutti. Per questo anche, per il diritto all’eguaglianza, vieppiù
spogliato di ogni residua carica emotiva.
Psicanalisi – O dell’“io impoverito”, con analogia
militaresca: a bassa intensità, disinvolto e disimpegnato, una forma di
mitridatizzazione. Come filosofia e anche come terapia – è come il sivastin per
il colesterolo..
Rete – Realizza con lo smartphone - in attesa dello smarteye, di un sensore
virtuale, di un deposito emotivo – la sovranità (“virtuale indipendenza”)
dell’individuo, la libertà totale nella connessione totale. In una forma di
spossessamento subliminale. Solo lievemente aggressivo, per aver impiantato
prima l’esigenza dell’uniformizzazione, come dell’eliminazione totale della riservatezza
e del tempo proprio.
La
realizza nell’atomizzazione, e quindi nella elusione (dispossessamento) della
socialità, che riformula in modelli: conforma una socialità di sintesi,
modulare – a differenza delle relazioni
individuali. Appellandosi all’ampliamento dell’area individuale, ma questo è un
altro discorso, di marketing, qual è tutta la filosofia utilitaristica
dell’individuo. Suscita emozioni ma non rapporti personali, che anzi rarifica ,
disintensifica, e tende a escludere -
“lo spettacolo” di Debord, che “riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto
separato”. Una relazione non interattiva, contrariamente all’etichetta che
esibisce. Che però ha un fondamento già consolidato, nella psicanalisi::nell’
“io impoverito”, o la società insocievole, la vita di relazione a senso unico.
Notevole
anche la perdita che implica in questa fase di trapasso. Nella sottrazione del
tempo e della riflessione. Nel controllo passivo a cui si sottostà. Nella
gestione impoverita dei riflessi e delle emozioni.
Suicidio – Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”,,sacrificarsi
per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia, o per
liberare la famiglia del proprio peso (malattia, invalidità, handicap), e
perfino il caso dell’assassino seriale che si
toglie la vita per non compiere altri delitti, o meglio ancora quelli della
“Fuga di Logan”, il racconto e il film dove tutti si suicidano, per non aggravare il mondo della
sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una giovinezza spensierata col senso della fine
imminente (nel film l’“età dell’aliminazione” era innalzata a trent’anni, per
attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano)?
In
antico la colpa portava al suicidio. Poi, con metodo cristiano, al pentimento e
alla penitenza. Sant’Agostino naturalmente è contro. Ma non
senza ragioni. “Dov’è la forza di quest’uomo tanto vantato?”, si chiede di
Catone, “non è stato piuttosto per impazienza che per coraggio che questo
famoso Catone s’è data la morte, e per non aver potuto ammettere la vittoria di
Cesare?” E dei peripatetici, che dicono, “con ragione, che è il primo grido
della natura che l’uomo ami se stesso, e pertanto che abbia un’avversione
istintiva per la morte”, per poi soccombere ai mali uccidendosi, che dirne, “se
gli stessi credono alla verità come credono alla morte?”
Il
motivo conta, ma basta poco a volte. Caroline von Günderode si buttò a ventisei
anni nel Reno quando l’amante filologo Creuzer tornò dalla moglie. L’acqua è un
buon motivo, non solo quella del Reno: Vienna ha un cimitero apposito, dei
Senza Nome, per i tanti che non resistono al Danubio. I cosacchi di Hitler, che
pensavano di prendersi il Friuli, traditi dagli inglesi che volevano
consegnarli a Stalin, trovarono comoda la Drava, dove si buttarono chi legando
a sé la famiglia, chi legandosi al cavallo, zavorrato con un sacco di pietre.
Nel Reno si buttò anche Robert Schumann, “Eusebius”, che i barcaioli però
salvarono. Dopo averlo annunciato alla moglie Clara, con la quale aveva fatto
otto figli, in una lettera che Clara custodirà in cassaforte: “Cara Clara,
getterò la mia fede nuziale nel Reno. Fa’ lo stesso anche tu e le nostre fedi
saranno unite”. Il musicista se l’era sognato a diciannove anni: “Ho sognato di
affogare nel Reno”, pur essendo egli nato e cresciuto a Zwickau, a mille
chilometri.
zeulig@antiit.eu
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