Conoscenza – La società della conoscenza non ha rispetto
per il sapere. Non ha rispetto umano, per l’esperienza se non per l’intelligenza
– si vuole sempre più giovanilista, cioè sradicata a getto continuo. Ma, di più, si vuole tabularasista: inventrice
del tutto, reinventrice, divina, e intollerante.
Inclassificabile,
incontestabile, suprematista. Magari sotto i peso del big data. Si ritorna da
questa apertissima società affranti, come dalla peggiore prigione, invadente,
nociva.
Ha dalla
sua l’iperbole democratica. Non democratica ma imbattibile. O in alternativa
anarchica. Anche se è conformista – conformista alla società della
comunicazione. È trendy, ecco, e questo basta. È il gregge che va al macello, o
al burrone, e qualche volta al pascolo, ma sempre a testa in giù.
Dio – È il
verbo (“in principio era il verbo”). Altrimenti non è: senza il verbo non c’è niente. Non c’è la morte là dove,
per ipotesi, ci sia una presenza, anche attiva, senza la parola. E quindi non
c’è la vita – Dio.
È
semplice, è umano – anche “troppo”. È una proiezione umana in forma di
disincarnazione, da cui la difficoltà e l’emozione dell’Incarnazione. Non lo
trova chi lo cerca nei riti, le tradizioni, le chiese, dove i testi sacri di riferimento piuttosto
che il verbo esprimono l’ordine.
Femminismo – Non un’idea della società ma una
generazione? Luisa Muraro, che ne è una delle anime, lo considera finito con la
sua generazione. Per causa di egoismo. A Gnoli che oggi, su “Repubblica”,
gliene chiede conto, non si sottrae: “Noi femministe abbiamo fatto un’esperienza
di felicità, tenendola troppo stretta nelle nostre mani. Non l’abbiamo passata
alle nuove generazioni di donne”. E anche: “Le trentenni – che dicono: noi non
abbiamo ereditato nulla, siamo precarie – ci gettano in faccia la loro rabbia.
Ma poi è anche vero che non sono riuscite a ereditare niente”. Perché l’eredità
non c’era?
Una maggioranza che
si considera minoranza e si vuole protetta è più disarmata o incapace (insicura, non interessata, opportunista)?
Possesso – È dispendioso.
Povertà – Per Hobbes può essere invece buona – “De
Homine”, XI: “La povertà senza indigenza è un bene in quanto sottrae il suo
possessore all’invidia, alla denuncia, alle insidie”. Il filosofo realista per
eccellenza è paradossale.
Ma è
vero che il possesso guarnisce ma non difende, non di per sé – pur essendo
dispendioso.
Silenzio – L’epoca si può dire del rumore, che si appella
al silenzio, l’epoca del single,
anche quando è in coppia e in compagnia, e isolato. Quando si cammina, si
guida, si va in treno o in tram, e ora anche in aereo, si fa jogging e palestra,
si fa trekking, si prende il sole, si lavora, si mangia, e probabilmente a
casa, coi familiari, a tavola o nel tinello, compulsando lo smartphone o in
ascolto all’mp3. Dell’isolamento attraverso il rumore.
Sinistra – Jean-Claude Michéa “Les Mystères de la
gauche”, p. 36-37) la dice “la rappresentazione
fantasmatica (che la filosofia comntemporanea, da Sartre a Luc Fery, ha
spesso contribuito a legittimare) di un soggetto supposto non accedere alla
libertà autentica (quella insomma che simbolizza il self-made man, che, per definizione, non deve nulla a nessuno) che a partire dal moment o in cui - essendosi definitivamente divelto da
tutte le sue «radici» e da tutte le sue determinazioni originarie – può cominciare
a costruirsi «liberamente»”. Presuppone lo sradicamento.
Il primo
Engels invece, 1845, sapeva che “il mondo intero riposa sul passato, e anche
l’individuo”. Contro l’ “atomizzazione del mondo”, la “guerra di tutti contro
tutti”e la “disgregazione dell’umanità in monadi”. In attesa necessariamente di
un federatore.
Suicidio – I più nel repertorio di Burton li porta al
suicidio il mal di pancia o malinconia, la vecchia bile nera, “the doom of all physicians”, l’incubo
dei dottori, da Ippocrate e Galeno a rabbi Moses, Avicenna, Ezio, Rhasis,
Gordonio, Valesco, Altomare, Salviano, Capivaccio, Mercato, Erode di Sassonia,
Pisone, Bruel, Fucsio, Fracastoro: il freddo all’anima è la peste, dirà il
medico matematico Cardano, “quasi carneficina homi-num, angor animi”.
Malaparte lo vide in Lapponia tra i tedeschi: gli Alpenjäger tirolesi e bavaresi,
di guardia contro russi e norvegesi, si lasciavano morire dopo rapido
invecchiamento.
Masaryk,
il padre della Cecoslovacchia ora disciolta, si laureò a Vienna nel 1881
ponderatamente a trentun’anni in filosofia della storia con la tesi Il suicidio come fenomeno di massa nella
società moderna, laicizzata. I dotti di Burton sono certi che la malattia
dell’anima è la più dannosa: “Non sarò mai uno schiavo”, dice il ragazzo Lacone
buttandosi al fiume. Poi ci sono i suicidi collettivi, in genere delle sette. E
Mishima, suicidio spettacolo, di cui però l’essenziale non si dice: l’amante
gli ha poi tagliato la testa? Pare che il rituale lo preveda.
Locke ne
tratta in termini di possesso: al peggior nemico si toglie la vita ma non i
beni, mentre al suicida si levavano all’epoca i beni, e questo disturba il
filosofo. Disturba pure Leopardi, che imberbe elogiò da classicista a Sinner la
morte procurata, “solo partito ragionevole e virile”: nel caso Smith, i coniugi
Richard e Bridget suicidi per debiti, rilevò che il cane avrebbe avuto le cure
degli amici, i figli niente – dovevano ereditare i debiti?
Leopardi
ha il vizio, nota Croce, di “confutare con raziocini sul nonvalore della vita
la lietezza di chi si sente attualmente lieto”. Né era più tempo di english disease: il morbo “mutò
radicalmente dacché gli inglesi adottarono le blue pills, meglio ancora la gita a Parigi, e invece delle notti di
Young leggono i romanzi di Walter Scott”, spiega l’esule Pecchio. Anche la “Vita
di Napoleone”, volendo, che Scott redasse in 14 tomi. I “Night Thoughts” di
Andrew Young sono diecimila versi di disgrazie, non estranee al Werther di
Goethe.
Pure
Beccaria lega il suicidio al patrimonio, ma a quello di chi emigra: “Colui che
si uccide fa minor male alla società di colui che n’esce per sempre dai
confini; quegli vi lascia tutta la sua sostanza, questi trasporta se stesso con
parte del suo avere”.
Utilitarismo – Una filosofia del marketing. Di soluzioni
buone a tutto nel nome dell’individuo.
zeulig@antiit.eu
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