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lunedì 12 maggio 2014

Secondi pensieri - 175

zeulig

Conoscenza – La società della conoscenza non ha rispetto per il sapere. Non ha rispetto umano, per l’esperienza se non per l’intelligenza – si vuole sempre più giovanilista, cioè sradicata a getto continuo.  Ma, di più, si vuole tabularasista: inventrice del tutto, reinventrice, divina, e intollerante.
Inclassificabile, incontestabile, suprematista. Magari sotto i peso del big data. Si ritorna da questa apertissima società affranti, come dalla peggiore prigione, invadente, nociva.
Ha dalla sua l’iperbole democratica. Non democratica ma imbattibile. O in alternativa anarchica. Anche se è conformista – conformista alla società della comunicazione. È trendy, ecco, e questo basta. È il gregge che va al macello, o al burrone, e qualche volta al pascolo, ma sempre a testa in giù.

Dio –  È il verbo (“in principio era il verbo”). Altrimenti non è: senza il verbo non c’è niente. Non c’è la morte là dove, per ipotesi, ci sia una presenza, anche attiva, senza la parola. E quindi non c’è la vita – Dio.

È semplice, è umano – anche “troppo”. È una proiezione umana in forma di disincarnazione, da cui la difficoltà e l’emozione dell’Incarnazione. Non lo trova chi lo cerca nei riti, le tradizioni, le chiese,  dove i testi sacri di riferimento piuttosto che il verbo esprimono l’ordine.

Femminismo – Non un’idea della società ma una generazione? Luisa Muraro, che ne è una delle anime, lo considera finito con la sua generazione. Per causa di egoismo. A Gnoli che oggi, su “Repubblica”, gliene chiede conto, non si sottrae: “Noi femministe abbiamo fatto un’esperienza di felicità, tenendola troppo stretta nelle nostre mani. Non l’abbiamo passata alle nuove generazioni di donne”. E anche: “Le trentenni – che dicono: noi non abbiamo ereditato nulla, siamo precarie – ci gettano in faccia la loro rabbia. Ma poi è anche vero che non sono riuscite a ereditare niente”. Perché l’eredità non c’era?

Una maggioranza che si considera minoranza e si vuole protetta è più disarmata o incapace (insicura, non interessata, opportunista)?

Possesso – È dispendioso.

Povertà – Per Hobbes può essere invece buona – “De Homine”, XI: “La povertà senza indigenza è un bene in quanto sottrae il suo possessore all’invidia, alla denuncia, alle insidie”. Il filosofo realista per eccellenza è paradossale.
Ma è vero che il possesso guarnisce ma non difende, non di per sé – pur essendo dispendioso.

Silenzio – L’epoca si può dire del rumore, che si appella al silenzio, l’epoca del single, anche quando è in coppia e in compagnia, e isolato. Quando si cammina, si guida, si va in treno o in tram, e ora anche in aereo, si fa jogging e palestra, si fa trekking, si prende il sole, si lavora, si mangia, e probabilmente a casa, coi familiari, a tavola o nel tinello, compulsando lo smartphone o in ascolto all’mp3. Dell’isolamento attraverso il rumore.

Sinistra – Jean-Claude Michéa “Les Mystères de la gauche”, p. 36-37) la dice “la rappresentazione  fantasmatica (che la filosofia comntemporanea, da Sartre a Luc Fery, ha spesso contribuito a legittimare) di un soggetto supposto non accedere alla libertà autentica (quella insomma che simbolizza il self-made man, che, per definizione, non deve nulla a nessuno) che a partire dal moment o  in cui - essendosi definitivamente divelto da tutte le sue «radici» e da tutte le sue determinazioni originarie – può cominciare a costruirsi «liberamente»”. Presuppone lo sradicamento.
Il primo Engels invece, 1845, sapeva che “il mondo intero riposa sul passato, e anche l’individuo”. Contro l’ “atomizzazione del mondo”, la “guerra di tutti contro tutti”e la “disgregazione dell’umanità in monadi”. In attesa necessariamente di un federatore.

Suicidio – I più nel repertorio di Burton li porta al suicidio il mal di pancia o malinconia, la vecchia bile nera, “the doom of all physicians”, l’incubo dei dottori, da Ippocrate e Galeno a rabbi Moses, Avicenna, Ezio, Rhasis, Gordonio, Valesco, Altomare, Salviano, Capivaccio, Mercato, Erode di Sassonia, Pisone, Bruel, Fucsio, Fracastoro: il freddo all’anima è la peste, dirà il medico matematico Cardano, “quasi carneficina homi-num, angor animi”. Malaparte lo vide in Lapponia tra i tedeschi: gli Alpenjäger tirolesi e bavaresi, di guardia contro russi e norvegesi, si lasciavano morire dopo rapido invecchiamento.
Masaryk, il padre della Cecoslovacchia ora disciolta, si laureò a Vienna nel 1881 ponderatamente a trentun’anni in filosofia della storia con la tesi Il suicidio come fenomeno di massa nella società moderna, laicizzata. I dotti di Burton sono certi che la malattia dell’anima è la più dannosa: “Non sarò mai uno schiavo”, dice il ragazzo Lacone buttandosi al fiume. Poi ci sono i suicidi collettivi, in genere delle sette. E Mishima, suicidio spettacolo, di cui però l’essenziale non si dice: l’amante gli ha poi tagliato la testa? Pare che il rituale lo preveda.

Locke ne tratta in termini di possesso: al peggior nemico si toglie la vita ma non i beni, mentre al suicida si levavano all’epoca i beni, e questo disturba il filosofo. Disturba pure Leopardi, che imberbe elogiò da classicista a Sinner la morte procurata, “solo partito ragionevole e virile”: nel caso Smith, i coniugi Richard e Bridget suicidi per debiti, rilevò che il cane avrebbe avuto le cure degli amici, i figli niente – dovevano ereditare i debiti?
Leopardi ha il vizio, nota Croce, di “confutare con raziocini sul nonvalore della vita la lietezza di chi si sente attualmente lieto”. Né era più tempo di english disease: il morbo “mutò radicalmente dacché gli inglesi adottarono le blue pills, meglio ancora la gita a Parigi, e invece delle notti di Young leggono i romanzi di Walter Scott”, spiega l’esule Pecchio. Anche la “Vita di Napoleone”, volendo, che Scott redasse in 14 tomi. I “Night Thoughts” di Andrew Young sono diecimila versi di disgrazie, non estranee al Werther di Goethe.
Pure Beccaria lega il suicidio al patrimonio, ma a quello di chi emigra: “Colui che si uccide fa minor male alla società di colui che n’esce per sempre dai confini; quegli vi lascia tutta la sua sostanza, questi trasporta se stesso con parte del suo avere”.

Utilitarismo – Una filosofia del marketing. Di soluzioni buone a tutto nel nome dell’individuo.

zeulig@antiit.eu

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