Mancava e
quindi eccola, la Repubblica mafiosa. La cattiva azione che mancava. Sì,
ambigua, “mafia republic” si può intendere, per carità, Dickie così la intende,
come la ragnatela mafiosa. Ma l’allusione è chiara, chiarissima, su di essa
l’autore, i recensori entusiasti, l’editore speculano. E per questo il libro si
fa leggere. Sì, è “divertente”, come assicurano le autorità britanniche che
illustrano il risvolto, ma quante “narrazioni” non abbiamo avuto e non abbiamo
su Cutolo, Casal di Principe, Lima, Ciancimino, Riina, e compari. Mancava giusto
la Repubblica di mafia.
Alla fine della lettura resta poco, come di tutte le storie della criminalità, peggio della pornografia. Non più della lettura del giornale. “Le mafie e la Repubblica sono cresciute insieme”. Ovvio, tutto cresce, è di questi profondismi che Dickie ci nutre. Il problema sarebbe che non sono cresciuti i Carabinieri. Perché la proprietà è un furto. E perché fare la ronda è sempre meglio che lavorare, distende i nervi, oppure “controllare il territorio” (multare gli onesti). Ma di queste cose, che pure tutti vedono, non c’è traccia nella apocalisse dickiana.
Alla fine della lettura resta poco, come di tutte le storie della criminalità, peggio della pornografia. Non più della lettura del giornale. “Le mafie e la Repubblica sono cresciute insieme”. Ovvio, tutto cresce, è di questi profondismi che Dickie ci nutre. Il problema sarebbe che non sono cresciuti i Carabinieri. Perché la proprietà è un furto. E perché fare la ronda è sempre meglio che lavorare, distende i nervi, oppure “controllare il territorio” (multare gli onesti). Ma di queste cose, che pure tutti vedono, non c’è traccia nella apocalisse dickiana.
L’editore
si fa scudo nel blurb di autorevoli
firme britanniche: gli italiani si lamentano dello stereotipo? ma “il problema
vero è che lo stereotipo è corretto”. E quindi mettiamo anche l’editore, già
illustre, in questa “Repubblica”? L’editore dirà che lui non c’entra,
naturalmente, ma si può fare eccezione solo per lui? Mettere insieme tanti
crimini senza nient’altro equivale ad assimilare un paese ai suoi crimini.
Certo, successo chiama successo, e l’editore esiste per vendere i libri. Ma con
qualche limite - non è, si penserebbe, un circo.
Dickie, che
si era segnalato quindici anni fa a Napoli con “Darkest Italy”, uno studio
sulla nascita dello stereotipo (anti)meridionale nell’Italia di fine Ottocento,
mai ripubblicato e nemmeno tradotto, da qualche tempo si diverte a spese
dell’Italia che insegna, da reporter aggiornato – cucina? cucina, terremoto?
terremoto, mafia? mafia. Con una notevolissima
bibliografia, bisogna dire, da grande lettore. Che non lo esenta dagli errori
della fretta e della compilazione: la Salerno-Reggio Calabria, su cui raccoglie
in poche righe alla pagina 112 una ventina di turpitudini, dice in costruzione
da 50 anni, il questore Marzano a Reggio Calabria, di cui di cui è l’unico ad
avere una buona opinione, sposta all’autunno del 1954 invece dell’estate, la missione riducendone e 54 giorni, Angelo Macrì dice “originario di Brooklyn”, etc. Di penna facile, alla
Montanelli, è altrettanto superficiale. Uno dei tanti che sfruttano il
provincialismo italiano. Qui recidiva, riscrivendo “Onorate Società”” di due anni fa. Ma che
c’entriamo noi? Lettori, italiani, meridionali, antimafiosi genetici.
John
Dickie, Mafia Republic, Laterza, pp.
532 € 24
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