Successo
alla radio, 39 mezzogiorni d’estate su France Inter, per un pubblico, si
pensava, di pensionati a casa refrattari all’ombrellone. Ma il successo si è
duplicato col libro che riunisce le conversazioni: uscito in sordina a metà
maggio l’anno scorso, ebbe un solo “passaggio” in tv, due mesi dopo a Télématin,
che però bastò a venderne tra luglio e agosto 100 mila copie, secondo solo all’“Inferno”
di Dan Brown e alle “Sfumature”. Un miracolo? Non senza motivo.
Compagnon
evita il massimario – cui Montaigne peraltro non si presta, gli almanacchi alla
Schopenhauer: Charron ci aveva provato subito, ma il “Traité de la sagesse” fu
un fallimento. Lega Montaigne alla sua vita, al modo di vivere (la solitudine,
la famiglia, il cavallo), ai retroscena necessari, e alla storia del tempo, in ognuno
dei quaranta capitoletti tematici. Al modo di Montaigne o della casualità, dell’ordine
disordinato. Ma il successo è indubbiamente di lui, di Montaigne, solo reso
leggibile, in cento invece che in mille pagine. Uomo attivo, in tempi di guerre
e di pesti, diplomatico, “per esempio, mediatore tra i cattolici e i
protestanti, tra Enrico III di Valois ed Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV”,
sindaco energico di Bordeaux in una pausa del buon ritiro nel castello di
famiglia e della scrittura dei “Saggi”, l’opera della vita di Montaigne.
Compagnon sa anche darne con semplicità
le chiavi dell’interesse costante che suscita nel lettore: “è uno scrittore”, “è
un relativista”, è il cavaliere “in
equilibrio, in assetto precario”, è uno che non dispera e non si piange
addosso, che ha e dà fiducia. La parola appartiene per metà a chi scrive e per
metà a chi legge, si può dire parafrasandolo,
e nel suo caso l’equilibrio c’è e si rinnova.
È un
moderato, senza essere un conservatore. E uno che sa ascoltare – fino a un
certo punto. “Propone un’estetica”, come dice Compagnon, e un’arte di vivere nella
bellezza (serenità d’animo). Nel gusto. Nel tempo sempre alla giusta cadenza –
“quando danzo, danzo, quando dormo, dormo. E quando passeggio solo in un bel
bosco, se i miei pensieri capita che si occupino di occorrenze estranee, io li
riporto alla passeggiata”. Che sembra zen e lo è, senza
l’applicazione dell’ascesi orientale, il maestro col bastone, e non per
annullarsi ma per prendere possesso, della vita e di sé, nei limiti del
possibile. Non presuntuoso, non ultimativo, non misogino, mai
cattivo. Diretto: scrive breve come Cesare, nota Compagnon, con la “sprezzatura”
che aveva trovato nel Castiglione, quello del “Libro del Cortegiano”. “Un
antidoto contro la malinconia”, non, come lui stesso diceva ridendo, “una
statua da collocare a un crocicchio”. O della perfezione dell’imperfezione.
Uno che vive
solo e scrive solo, benché per un pubblico – dopo La Boétie, dai 25 ai 30 anni,
non ebbe altri interlocutori. Che la solitudine rende amabile, attitudine non
facile - non cedere all’amarezza. Per un equilibrio spontaneo oppure coltivato,
non fa differenza. I “Saggi” si compongono per aggiunte, riletture, riscritture.
Non come sistema filosofico e non per esercizio di saggezza – e come avrebbe
potuto? Montaigne era scettico di proposito. Perciò curioso sempre: è questo il
meccanismo. E tuttavia di giudizio certo (solido).
Il segreto della
longevità di Montaigne è di aver dovuto cominciare a parlare in latino? Con
istitutore tedesco inflessibile, su prescrizione del padre, legista altrettanto
inflessibile; Cui il resto della casa doveva acconciarsi: “Mio padre, mia
madre, i servitori e le fantesche in mia presenza dovevano usare soltanto
quelle poche smozzicate parole latine che ciascuno di loro aveva imparato per
comunicare con me”. Che sembra ridicolo, certamente non utilitaristico, ma è un
progetto pedagogico degno di nota.
Antoine
Compagnon, Un’estate con Montaigne,
Adelphi, pp. 136 € 12
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