Guardia
corsa
– Fu la guardia del papa, e la milizia urbana, dal 1378, dal ritorno del papa
da Avignone, fino al 1662, quando Luigi XIV di Francia ne impose al papa lo
scioglimento. Nel 1506 era stata creata anche una Guardia svizzera, la stessa
che ancora protegge il papa, ma senza eliminare la Guardia corsa. Il rapporto
dell’isola col papato essendo di lungo periodo: ne fu un feudo dall’VIII secolo
fino al 1447, quando il papa ligure Niccolò V, l’umanista Tommaso Parentucelli,
trasferì l’isola alla Repubblica di Genova, e fu rappresentata a Roma da una
nutrita colonia, a Fiumicino e a Trastevere – qui nell’area di san Crisogono,
che era la chiesa dei Corsi.
Nel 1662 la Guardia fu sciolta
con ignominia in seguito a un incidente orchestrato a Roma da Luigi XIV di
Francia nel quadro della sua politica gallicana, delle chiese nazionali. Il
folto seguito armato dell’ambasciatore speciale di Luigi XIV a Roma, suo cugino
Carlo II, duca di Créqui, provocò la Guardia corsa nei pressi di Ponte Sisto,
in prossimità di palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia. Luigi XIV
occupò per ritorsione Avignone e gli altri territori papali in Francia, e
impose lo scioglimento della Guardia, in termini offensivi. Minacciò anche una
spedizione militare punitiva fino a Roma. Il papa Alessandro VII Chigi
tergiversò, ma alla fine dovette piegarsi, in quella che fu chiamata la pace di
Pisa, nel 1664.
Internet
– Non
solo dunque l’informazione è infetta sulla rete, anche la pubblicità. A
cominciare da quella attiva, che i siti si fanno. Sul numero e la qualità dei
contatti. Il “traffico” su un sito si può comprare, cioè si può originare su commissione,
e “Wired” spiega non contestato che il “Corriere della sera” vi ha fatto ampio
ricorso per il suo sito corriere.it. La pratica è comune, si è difeso il
giornale lombardo.
L’esempio il “Corriere della sera”
avrebbe potuto portare dello “Huffington Post”, il quotidiano online gonfiato
fino a un valore di mercato di 60 milioni di dollari, per il quale è stato
ceduto, che si è subito sgonfiato dopo la cessione. Il vero business della rete
è per ora acquisire audience, anche fittizia, generandosi il traffico. “Dov’è
la saggezza che abbiamo\ Perso nella conoscenza?\ Dov’è la conoscenza che
abbiamo\ Perso nell’informazione?”. T.S.Eliot se lo chiedeva già ottant’anni
fa, “The Rock”.
Keynes
–
Si lega a torto alle opere pubbliche in funzione anti-disoccupazione, a fini prevalentemente
di distribuzione del reddito col lavoro. Se ne facevano prima di lui. Per esempio
in Italia, alla fine della grande guerra, per dare lavoro ai reduci e
riattivare l’economia, specie nelle zone disastrate. L’inefficienza di questi
lavori pubblici decisi in prima istanza per distribuire un salario nasce da
qui, che sono una ricetta politica e non economica. Keynes ha tentato di dargli
una razionalità, ma debole.
Pacifismo
–
Gandhi ha prolungato di vent’anni il colonialismo inglese in India senza
resistenza, dice Orwell nel saggio “Reflection on Gandhi”, uscito nel gennaio
1929 sulla “Partizan Review”: “Gandhi è stato considerato per vent’anni dal
governo coloniale in India come uno dei suoi alleati. So di che parlo, sono
stato ufficiale di polizia coloniale in India”. Dell’eterogeneità dei fini
nella storia.
Politicamente
corretto
– Viene consigliato e anzi imposto dalla stesse e gli stessi che in tv e in
rete, mezzi che preferiscono, comunicano col turpiloquio. Che dicono sintetico.
Mentre magari – magari le stesse persone, comici, conduttrici – quando scrivono
le stesse parole le limitano alle iniziali. Sempre agressive-i e impudenti.
Riforma – Riforma di
struttura, riforme di base, del Parlamento, della Giustizia, del lavoro, delle
pensioni, del mercato, del non-mercato:
non ci sono cosa da fare, perlomeno per l’Italia, ma riforme. Che l’Italia
sempre non ha fatto e deve fare. Se ne banalizza il concetto, non per caso.
Riformatore
è in realtà il processo rivoluzionario, innovativo. Che invece viene confuso
con la ghigliottina e il plotone d’esecuzione. A lungo sotto lo stigma
leninista, delle parole d’ordine che legavano riformismo e opportunismo. Riforme,
riforme è ora il grido unanime del giornalismo e di Bruxelles. Autorità che più
burocratiche, asfittiche, negative, vecchie, non si possono immaginare. Con una
certa confusione, quindi. Doppia anzi nel caso dell’Italia. Perché l’Italia le
riforme le ha fatte, le liberalizzazioni e privatizzazioni che si richiedono (industrie
e servizi pubblici, lavoro, sanità, pensioni). Le quali però non sono riforme,
giacché impoveriscono e indeboliscono l’economia, oltre che il morale, rendendola sempre
più non competitiva.
Intendere
le riforme nel senso del mercato è una forzatura. Anzi una contraddizione.
La
prima Riforma, la riforma per antonomasia, quella religiosa, poi derubricata a
religione laica, non apportò salvezza, neanche negli affari, che pure aveva
eletto a metro della grazia divina. Né la libertà, benché si sia fatta, e si
faccia, valere contro l’assolutismo papale romano. Su queste false premesse la
parola si è pero divinizzata. Fino all’attuale insignificanza, sempre però
piena di se stessa e coattiva.
La
Riforma storica si vuole una rivolta dello spirito e invece fu nazionale, anzi
provinciale: una rivolta fiscale. Contro gli interessi pagati ai vescovi di
Roma. per una sorta di capitazione federalista, tante anime a te, con tante
decime, tante a me.
astolfo@antiit.eu
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