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martedì 10 giugno 2014

Il mondo com'è (176)

astolfo

Guardia corsa – Fu la guardia del papa, e la milizia urbana, dal 1378, dal ritorno del papa da Avignone, fino al 1662, quando Luigi XIV di Francia ne impose al papa lo scioglimento. Nel 1506 era stata creata anche una Guardia svizzera, la stessa che ancora protegge il papa, ma senza eliminare la Guardia corsa. Il rapporto dell’isola col papato essendo di lungo periodo: ne fu un feudo dall’VIII secolo fino al 1447, quando il papa ligure Niccolò V, l’umanista Tommaso Parentucelli, trasferì l’isola alla Repubblica di Genova, e fu rappresentata a Roma da una nutrita colonia, a Fiumicino e a Trastevere – qui nell’area di san Crisogono, che era la chiesa dei Corsi.
Nel 1662 la Guardia fu sciolta con ignominia in seguito a un incidente orchestrato a Roma da Luigi XIV di Francia nel quadro della sua politica gallicana, delle chiese nazionali. Il folto seguito armato dell’ambasciatore speciale di Luigi XIV a Roma, suo cugino Carlo II, duca di Créqui, provocò la Guardia corsa nei pressi di Ponte Sisto, in prossimità di palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia. Luigi XIV occupò per ritorsione Avignone e gli altri territori papali in Francia, e impose lo scioglimento della Guardia, in termini offensivi. Minacciò anche una spedizione militare punitiva fino a Roma. Il papa Alessandro VII Chigi tergiversò, ma alla fine dovette piegarsi, in quella che fu chiamata la pace di Pisa, nel 1664.

Internet – Non solo dunque l’informazione è infetta sulla rete, anche la pubblicità. A cominciare da quella attiva, che i siti si fanno. Sul numero e la qualità dei contatti. Il “traffico” su un sito si può comprare, cioè si può originare su commissione, e “Wired” spiega non contestato che il “Corriere della sera” vi ha fatto ampio ricorso per il suo sito corriere.it. La pratica è comune, si è difeso il giornale lombardo.
L’esempio il “Corriere della sera” avrebbe potuto portare dello “Huffington Post”, il quotidiano online gonfiato fino a un valore di mercato di 60 milioni di dollari, per il quale è stato ceduto, che si è subito sgonfiato dopo la cessione. Il vero business della rete è per ora acquisire audience, anche fittizia, generandosi il traffico. “Dov’è la saggezza che abbiamo\ Perso nella conoscenza?\ Dov’è la conoscenza che abbiamo\ Perso nell’informazione?”. T.S.Eliot se lo chiedeva già ottant’anni fa, “The Rock”.  

Keynes – Si lega a torto alle opere pubbliche in funzione anti-disoccupazione, a fini prevalentemente di distribuzione del reddito col lavoro. Se ne facevano prima di lui. Per esempio in Italia, alla fine della grande guerra, per dare lavoro ai reduci e riattivare l’economia, specie nelle zone disastrate. L’inefficienza di questi lavori pubblici decisi in prima istanza per distribuire un salario nasce da qui, che sono una ricetta politica e non economica. Keynes ha tentato di dargli una razionalità, ma debole.

Pacifismo – Gandhi ha prolungato di vent’anni il colonialismo inglese in India senza resistenza, dice Orwell nel saggio “Reflection on Gandhi”, uscito nel gennaio 1929 sulla “Partizan Review”: “Gandhi è stato considerato per vent’anni dal governo coloniale in India come uno dei suoi alleati. So di che parlo, sono stato ufficiale di polizia coloniale in India”. Dell’eterogeneità dei fini nella storia.

Politicamente corretto – Viene consigliato e anzi imposto dalla stesse e gli stessi che in tv e in rete, mezzi che preferiscono, comunicano col turpiloquio. Che dicono sintetico. Mentre magari – magari le stesse persone, comici, conduttrici – quando scrivono le stesse parole le limitano alle iniziali. Sempre agressive-i e impudenti.

Riforma – Riforma di struttura, riforme di base, del Parlamento, della Giustizia, del lavoro, delle pensioni, del mercato, del non-mercato:  non ci sono cosa da fare, perlomeno per l’Italia, ma riforme. Che l’Italia sempre non ha fatto e deve fare. Se ne banalizza il concetto, non per caso.
Riformatore è in realtà il processo rivoluzionario, innovativo. Che invece viene confuso con la ghigliottina e il plotone d’esecuzione. A lungo sotto lo stigma leninista, delle parole d’ordine che legavano riformismo e opportunismo. Riforme, riforme è ora il grido unanime del giornalismo e di Bruxelles. Autorità che più burocratiche, asfittiche, negative, vecchie, non si possono immaginare. Con una certa confusione, quindi. Doppia anzi nel caso dell’Italia. Perché l’Italia le riforme le ha fatte, le liberalizzazioni e privatizzazioni che si richiedono (industrie e servizi pubblici, lavoro, sanità, pensioni). Le quali però non sono riforme, giacché impoveriscono e indeboliscono l’economia, oltre che il morale, rendendola sempre più non competitiva.
Intendere le riforme nel senso del mercato è una forzatura. Anzi una contraddizione.

La prima Riforma, la riforma per antonomasia, quella religiosa, poi derubricata a religione laica, non apportò salvezza, neanche negli affari, che pure aveva eletto a metro della grazia divina. Né la libertà, benché si sia fatta, e si faccia, valere contro l’assolutismo papale romano. Su queste false premesse la parola si è pero divinizzata. Fino all’attuale insignificanza, sempre però piena di se stessa e coattiva.
La Riforma storica si vuole una rivolta dello spirito e invece fu nazionale, anzi provinciale: una rivolta fiscale. Contro gli interessi pagati ai vescovi di Roma. per una sorta di capitazione federalista, tante anime a te, con tante decime, tante a me.

La prima riforma religiosa e sociale e la più radicale, fu papale, e infine lombarda, nel primo secolo dopo il Mille che si vorrebbe oscurare - questo qualsiasi storico, anche mediocre, lo sa: chi non ha sentito parlare dei Catari, dei Patari, di Arnaldo da Brescia, e di papa Gregorio? Si fece nei primi secoli del millennio, a opera della chiesa di Roma, contro i nicolaiti, i simoniaci, i nepotisti. E si fece a opera delle nuove classi, i monetieri, i mercanti, gli operai, allora prevalentemente della tessitura. Sopratutto a Milano: imposta da Roma sulla Milano imperiale, ma richiesta e combattuta dai milanesi poveri e puri della Pataria.

astolfo@antiit.eu

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