Berlinguer
–
Libri, articoli, discorsi, perfino un film, di dagherrotipi, video, tg, tribune
politiche, e la solitamente riservata, perfino troppo, figlia Bianca, si
recupera tutto dell’ultimo leader del Pci, mentre il partito si dissolve. Nella
linea della massima faziosità a sinistra e della massima condiscendenza alla Dc
in cui lui l’ha costretto, senza un’idea o una proposta. Già dal 1973.
La nostalgia evidentemente è
molta. Ma forse del partito pre-Berlinguer. Per quanto, il film è prodotto da
Murdoch.
Grillo – Fra gli
euroscettici non antieuropei c’era Tsipras, ma Grillo non ha nemmeno ipotizzato
di poterci fare gruppo. È a capo di un’armata di centro-destra. Uno dei tanti in
agguato sui voti di Berlusconi.
Grillo richiama irresistibile,
come già Bossi, gli sporchi, brutti e cattivi: i mediocri. In un anno e mezzo
non una sola personalità, o una sola proposta, degna di rilievo. Il suo atout più forte è il successo, la carriera
pronta: la promessa, come già di Bossi e in piccolo di Di Pietro, ai
nullafacenti di una rapida assunzione in cielo, a trentamila euro al mese o poco
meno. Ma dell’epoca dei social forum: parolai. A loro modo virtuosi della parola,
piuttosto che dei gesti.
Si dice populismo ma è la mediocrità.
Basta sentire i parlamentari 5 Stelle di Napoli e della Sicilia,
che sono i soli a sapere parlare: sono la caricatura del Napoletano e del Siciliano,
la maschera del chiacchierone, forbito, aggiornato all’ultimo pettegolezzo, e
pieno di se stesso, incarnazioni modello del parolaismo della rete.
Specificamente, Grillo sfrutta il
meccanismo della “arrabbiatura”, della
“collera spontanea”. Gli scopi d’ira comunque provocano sentimenti
intensi. Magari a fiammate, che però per i molti costituiscono l’esperienza di
una vita – la vita ora si esaurisce in fiammate non si costruisce (ci sono
“reduci” già a vent’anni). Suscitando a macchia d’olio con la curiosità la compassione,
come a una lite in strada o a un incidente, e anche la benevolenza, degli assistenti,
di chi si trova a essere presente: non si rimprovera a qualcuno di “fare una
scenata”, si cerca di capire, di aiutare. Un meccanismo semplice che i seguaci
adottano forse senza furbizia ma senza requie. Non “esiste” linguaggio
eccessivo in buona fede che si ripeta all’infinito, su tutte le piazze , con
tutti gli interlocutori, dalle nonne alle giovani croniste, dai cialtroni ai
social forum, a tutte le ore del giorno, tutti i giorni, da cinque o dieci
anni. Non c’è collera naturalmente ma un surrogato di colera, una finzione più
spesso da guitti, con artifici perfino modesti: l’esagerazione, l’oltraggio, il
ghigno, l’aspetto irsuto, mezzo eremita, come Crozza rappresenta lo stesso
Grillo, mezzo crociato, e sempre profetico. Un tempo si diceva épater le bourgeois.
Leva
obbligatoria –
La Gran Bretagna riarmò nella guerra del 1914 su base volontaria. I volontari
assommarono, fino a gennaio 1916 quando fu introdotta la leva obbligatoria, a 2
milioni seicentomila uomini, al di sotto dei 45 anni. Una cifre enorme. La Gran
Bretagna peraltro introdusse la leva obbligatoria riconoscendo l’obiezione di
coscienza.
È un fattore che non si prende in
considerazione, ma è più che una frontiera di civiltà, tra la Gran Bretagna e
il continente. Il continente vive – ha vissuto fino a recente – come se fosse
un dato di fatto, da tempo immemorabile, con la leva obbligatoria. La leva in
massa introdotta dalla rivoluzione francese. A fini rivoluzionari: il popolo
che combatte per il popolo. Ma solo in superficie: di fatto si tradusse in un
sacrificio di vita e di sangue a difesa di remote politiche. Remote
culturalmente e anche socialmente.
La guerra di popolo non fu mai
difensiva. Sì, a favore dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma nella pratica
dei governi francesi. La rivoluzione dei diritti dell’uomo e del cittadino si
faceva, dove si faceva, a beneficio dei borghesi, purché non fossero
antifrancesi: cittadini, scolarizzati, di censo, seppure piccolo. Il popolo –
la massa – in campagna e nei tuguri era coinvolto solo sui doveri.
Massisti - Fu
l’introduzione della levée en masse a
suscitare la violenta reazione in Calabria alle truppe napoleoniche murattiane partire dal 1806 - ottomila ne conterà ancora
nel giugno 1812 il giovane marchese de Custine in gita da Napoli. Col sostegno,
l’armamento, e anche un soldo, degli inglesi – che successivamente terranno in
vita ancora per un decennio su altri fronti una brigata Calabrian Free Corps.
Ma volontaria all’origine e sempre, non senza ragioni.
Dei massisti non si
sa molto, nessuno ha studiato il fenomeno. Il Battaglia si limita a definirlo: “Il “combattente inquadrato nelle
formazioni popolari calabresi. Note con il nome di Masse, e guidate da Capi
Massa, che condussero la lotta contro le truppe francesi di Giuseppe
Bonaparte negli anni 1806-1807”. Quello che si sa è che la rivolta dei
“massisti” fu spontanea e dilagò contro l’obbligo della leva. In ambiente
sanfedista, è vero, che il cardinale Ruffo aveva potuto mobilitare dieci anni
prima contro la Repubblica partenopea. Ma l’innesco della rivolta massista fu
la leva obbligatoria, per uno o dieci anni, senza soldo, con la promessa del
libero bottino – non un’opera di civiltà.
È questa resistenza, e non la libertà, il tema di uno dei primi
canti della tradizione popolare italiana, nel 1808: “Partirò partirò, partir
bisogna\ dove comanderà nostro sovrano;\ chi prenderà la strada di Bologna\ e
chi anderà a Parigi e chi a Milano.\ Ahi, che partenza amara…”.
astolfo@antiit.eu
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