giovedì 19 giugno 2014

Il mondo com'è (177)

astolfo

Berlinguer – Libri, articoli, discorsi, perfino un film, di dagherrotipi, video, tg, tribune politiche, e la solitamente riservata, perfino troppo, figlia Bianca, si recupera tutto dell’ultimo leader del Pci, mentre il partito si dissolve. Nella linea della massima faziosità a sinistra e della massima condiscendenza alla Dc in cui lui l’ha costretto, senza un’idea o una proposta. Già dal 1973.
La nostalgia evidentemente è molta. Ma forse del partito pre-Berlinguer. Per quanto, il film è prodotto da Murdoch.

Grillo – Fra gli euroscettici non antieuropei c’era Tsipras, ma Grillo non ha nemmeno ipotizzato di poterci fare gruppo. È a capo di un’armata di centro-destra. Uno dei tanti in agguato sui voti di Berlusconi.

Grillo richiama irresistibile, come già Bossi, gli sporchi, brutti e cattivi: i mediocri. In un anno e mezzo non una sola personalità, o una sola proposta, degna di rilievo. Il suo atout più forte è il successo, la carriera pronta: la promessa, come già di Bossi e in piccolo di Di Pietro, ai nullafacenti di una rapida assunzione in cielo, a trentamila euro al mese o poco meno. Ma dell’epoca dei social forum: parolai. A loro modo virtuosi della parola, piuttosto che dei gesti.
Si dice populismo ma è la mediocrità. Basta sentire i parlamentari 5 Stelle di Napoli e della Sicilia, che sono i soli a sapere parlare: sono la caricatura del Napoletano e del Siciliano, la maschera del chiacchierone, forbito, aggiornato all’ultimo pettegolezzo, e pieno di se stesso, incarnazioni modello del parolaismo della rete.

Specificamente, Grillo sfrutta il meccanismo della “arrabbiatura”, della  “collera spontanea”. Gli scopi d’ira comunque provocano sentimenti intensi. Magari a fiammate, che però per i molti costituiscono l’esperienza di una vita – la vita ora si esaurisce in fiammate non si costruisce (ci sono “reduci” già a vent’anni). Suscitando a macchia d’olio con la curiosità la compassione, come a una lite in strada o a un incidente, e anche la benevolenza, degli assistenti, di chi si trova a essere presente: non si rimprovera a qualcuno di “fare una scenata”, si cerca di capire, di aiutare. Un meccanismo semplice che i seguaci adottano forse senza furbizia ma senza requie. Non “esiste” linguaggio eccessivo in buona fede che si ripeta all’infinito, su tutte le piazze , con tutti gli interlocutori, dalle nonne alle giovani croniste, dai cialtroni ai social forum, a tutte le ore del giorno, tutti i giorni, da cinque o dieci anni. Non c’è collera naturalmente ma un surrogato di colera, una finzione più spesso da guitti, con artifici perfino modesti: l’esagerazione, l’oltraggio, il ghigno, l’aspetto irsuto, mezzo eremita, come Crozza rappresenta lo stesso Grillo, mezzo crociato, e sempre profetico. Un tempo si diceva épater le bourgeois.

Leva obbligatoria – La Gran Bretagna riarmò nella guerra del 1914 su base volontaria. I volontari assommarono, fino a gennaio 1916 quando fu introdotta la leva obbligatoria, a 2 milioni seicentomila uomini, al di sotto dei 45 anni. Una cifre enorme. La Gran Bretagna peraltro introdusse la leva obbligatoria riconoscendo l’obiezione di coscienza.
È un fattore che non si prende in considerazione, ma è più che una frontiera di civiltà, tra la Gran Bretagna e il continente. Il continente vive – ha vissuto fino a recente – come se fosse un dato di fatto, da tempo immemorabile, con la leva obbligatoria. La leva in massa introdotta dalla rivoluzione francese. A fini rivoluzionari: il popolo che combatte per il popolo. Ma solo in superficie: di fatto si tradusse in un sacrificio di vita e di sangue a difesa di remote politiche. Remote culturalmente e anche socialmente.
La guerra di popolo non fu mai difensiva. Sì, a favore dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma nella pratica dei governi francesi. La rivoluzione dei diritti dell’uomo e del cittadino si faceva, dove si faceva, a beneficio dei borghesi, purché non fossero antifrancesi: cittadini, scolarizzati, di censo, seppure piccolo. Il popolo – la massa – in campagna e nei tuguri era coinvolto solo sui doveri.

Massisti - Fu l’introduzione della levée en masse a suscitare la violenta reazione in Calabria alle truppe napoleoniche murattiane  partire dal 1806 - ottomila ne conterà ancora nel giugno 1812 il giovane marchese de Custine in gita da Napoli. Col sostegno, l’armamento, e anche un soldo, degli inglesi – che successivamente terranno in vita ancora per un decennio su altri fronti una brigata Calabrian Free Corps. Ma volontaria all’origine e sempre, non senza ragioni.
Dei massisti non si sa molto, nessuno ha studiato il fenomeno. Il Battaglia si limita a  definirlo: “Il “combattente inquadrato nelle formazioni popolari calabresi. Note con il nome di Masse, e guidate da Capi Massa, che condussero la lotta contro le truppe francesi di Giuseppe Bonaparte negli anni 1806-1807”. Quello che si sa è che la rivolta dei “massisti” fu spontanea e dilagò contro l’obbligo della leva. In ambiente sanfedista, è vero, che il cardinale Ruffo aveva potuto mobilitare dieci anni prima contro la Repubblica partenopea. Ma l’innesco della rivolta massista fu la leva obbligatoria, per uno o dieci anni, senza soldo, con la promessa del libero bottino – non un’opera di civiltà.
È questa resistenza, e non la libertà, il tema di uno dei primi canti della tradizione popolare italiana, nel 1808: “Partirò partirò, partir bisogna\ dove comanderà nostro sovrano;\ chi prenderà la strada di Bologna\ e chi anderà a Parigi e chi a Milano.\ Ahi, che partenza amara…”.

astolfo@antiit.eu

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