venerdì 6 giugno 2014

Il romanzo dei cattivi gesuiti

Un romanzo. Storico, psicologico, politico, religioso. Pieno di eroine, eroi, senza nemmeno spendere i nomi più prestigiosi, Pascal, lo stesso Racine, e regine, re, cardinali, principi, principesse, cattivi impuniti, e miracoli, la miracolata, la signorina Périer, essendo la nipote di Pascal. E colpi di scena. Che culmina nella guerra ferocissima, subdola, traditrice, che i gesuiti condussero contro Port-Royal, un convento di monache non di altro colpevoli che dell’esercizio della virtù. Cui furono addossate le colpe di Giansenio, non di altro colpevole che di essere – essere stato all’epoca dei fatti – un santo vescovo, devoto della chiesa cattolica romana ma non dei gesuiti. E i gesuiti non gli lasciarono un attimo di respiro, neanche a lui. Le “Lettere provinciali” di Pascal segnano l’aspetto ideologico (teologico) della vicenda, sulle varie forme della grazia divina, che non serve ritracciare. Questa “Breve storia” di Racine ne è il romanzo appassionante. Una narrazione convincente – alla fine si vorrebbero vedere tutti i gesuiti appesi.
Ci fu una guerra civile in Francia nel Seicento. Non solo nel 1652, quella propriamente detta della nobiltà della Fronda contro la corte e la stessa corona. Ma una pervicace, ostinata, e non meno delittuosa, lungo tutto il secolo, di mezza Francia contro i gesuiti, e dei gesuiti contro mezza Francia. Espulsi nel 1595, dopo un attentato al re, rientrati meno di dieci anni dopo, nel 1604, e dominanti a corte, attraverso le buone coscienze dei re, le regine e le mantenute, a cominciare da Enrico IV (il riconvertito di “Parigi val bene una messa”), Luigi XIII e Luigi XIV. Marc Fumaroli li assolve, lo storico dell’arte della Controrifirma (“La scuola del silenzio. Il senso delle immagini nel XVII secolo”): “La modernità gesuita, alla prova in Francia, apparve insieme scioccante e démodée, la fedeltà gesuita a Aristotele, a Cicerone, a san Tommaso sembrò impura ed equivoca. Benché fossero in effetti, per il loro enciclopedismo, gli ultimi frequentatori dell’Antichità vivente, i gesuiti passarono per traditori dell’Antichità. Benché fossero, col loro adattamento alle realtà del mondo del Rinascimento, i primi storici, sociologici ed etnologi del cattolicesimo, furono tenuti per i suoi peggiori reazionari”. Racine non ne censisce che malevolenze e pratiche ignobili.
La Port-Royal di Racine, degli anni di Racine, è Arnauld. La rifondatrice del convento e della nuova regola, madre Angélique, badessa a undici anni, era Arnauld. Sorella del Grande Arnauld, Antoine come il padre e il nonno, filosofo, teologo, devoto al papa, una delle tante vittime dei gesuiti. Reo di essere nipote del legista Antoine, ugonotto riconvertito cattolico dopo la Sant-Berthélémy, 1572, che nel 1594 aveva preparato con un suo sermone l’espulsione l’anno dopo dei gesuiti. La madre del Grande Arnauld, sei delle sue sorelle, Angélique compresa, e sei delle sue nipoti furono monache a Port Royal. Più cinque “solitari”, uomini che si ritiravano nelle vicinanze: Antoine stesso, un fratello e tre nipoti.
Scritto vent’anni prima della morte, dopo “Fedra” e la nomina a storico di corte, ma non pubblicato né rielaborato, il testo risente di qualche ripetizione. Ma lo sdegno resta sempre vivo, pari alla scrittura. Racine chiederà di essere sepolto a Port-Royal, dov’era stato cresciuto, forse per scongiurare le profanazioni e distruzioni a cui i gesuiti convinceranno poco dopo la sua morte il suo amato re Luigi XIV. Non si saprebbe sottovalutare quel conflitto, apparentemente così remoto dalla nostra sensibilità, e forse da quella degli stessi gesuiti. Uno dei primi perni della campagna gesuitica fu la denuncia di un “complotto di Giansenio” nel 1621, con alcuni congregati, tra cui l’abate de Saint-Cyran, confessore di Port-Royal. Le ottime annotazioni che corredano questa edizione dicono che il complotto non ci fu, ci fu solo un incontro di Giansenio e Saint-Cyran. I quali però si vollero incontrare per concordare un codice segreto con cui scriversi
Giulia Oskian, che ha ripescato e illustra la “Breve storia”, ne mette in rilievo il “nitore pittorico”. La sobrietà, specie a petto del gigantesco Port-Royal di Sainte-Beuve. E naturalmente l’istinto drammatico, anche in questo testo ritenuto minore di Racine. Ma c’è di più: il talento narrativo, l’onestà intellettuale. Racine non è un bigotto. Litiga non solo coi gesuiti, anche con Pierre Nicole, il filosofo “solitario” alter ego del suo divo Arnauld a Port-Royal nel lungo esilio di questi – salvo poi riconciliarsi in punto di morte col convento. È uomo di corte ma non si nasconde. Non sul beghinaggio della regina madre. O sui colpi di teatro di cui Richelieu si compiaceva. Mentre il cardinale de Retz, il capo in disgrazia della Fronda, fa “teologo profondissimo”. Senza timore di dire i torti del suo re, Luigi XIV, il soppressore di Port-Royal. La “Breve storia” termina con Luigi XIV, difensore e capo del gallicanesimo contro l’oltremontanismo, l’obbedienza cieca al papa anche in questioni non di fede, che chiede al papa di mettere in riga i vescovi francesi.
Jean Racine, Breve storia di Port–Royal, Edizoni della Normale, pp. 226 € 10

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