La vera agenda europea
dopo il voto del 25 maggio, dietro le nomine e l’allentamento dell’austerità
economica, è la Kerneuropa. Un concetto ormai vecchio di venti anni, enunciato
peraltro, nel 1994, da due politici tedeschi, due cristiano-democratici, Wolfgang
Schaüble, ministro delle Finanze dei gabinetti Merkel, e Karl Lamers. Ma di
interesse precipuo dell’Italia: il nocciolo dell’Europa, attorno all’euro, dev’essere
politico. E la politica che l’Europa necessita è federale. L’Italia deve
lavorare a più federalismo e meno “assi”, tutti inevitabilmente a preponderanza
tedesca, meno “lasciamo le cose come stanno”.
La Kerneuropa è anche nelle corde della scelta europeista del
Vaticano. E del neo guelfismo europeo, innovatore, coraggioso, che Renzi dovrebbe
interpretare. Se non si lascia travolgere dalla retorica etnica su cui è ripiegato
nelle ultime settimane, i fiorini, i Medici, le repubbliche e i pricipati. E la strada,
volendolo, sarebbe spianata dal connubio Merkel-Draghi: un presidente della
banca centrale europea scelto dalla cancelliera come un “utile idiota” che ha
invece rovesciato i rapporti di forza con la Bundesbank e Berlino. Nell’interesse,
naturalmente, anche di Berlino.
Schaüble ha riproposto sul “Financial Times” tre mesi fa, il 27 marzo, insieme col cancelliere dello
Scacchiere britannico Osborne, il suo vecchio programma. Con una lista dei
benefici che Londra trarrebbe stando dichiaratamente, senza ambiguità, nel secondo
livello europeo. La strada è dunque aperta per un regime sempre più federativo,
che non si priverebbe del supporto della City, il maggiore mercato finanziario
del mondo.
Il passaggio a una
struttura politica e istituzionale di tipo federativo è l’unico mezzo per l’Italia
di uscire dal nanismo politico a Bruxelles e in ogni istanza europea. Minoritaria.
Inconsistente. Per un motivo o per l’altro sempre in quarantena.
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