lunedì 9 giugno 2014

Letture - 174

letterautore

Censura – Si rappresenta, alla mostra sulla censura cinematografica del Ministero dei Beni Culturali, una scena di nudo di “Nymphomaniac”, il film di Lars von Trier, in cui una bianca è stretta a sandwich fra due neri. L’attrice bianca ha un nome, Charlotte Gainsborugh, i due neri no. Nero stallone?
Ma anche gli stalloni ora hanno un nome. Una gaffe del corretto von Trier, correttissimo?

Colore – È uniforme la veduta all’interno del vagone della metro B a Roma, grigio-nero. Una folla, la metro è sempre piena, compatta in grigio-nero. Non è un caso, anche cambiando vagone la veduta è la stessa, affollata di grigio-nero. I treni della metro sono ora lunghi, quanto la lunghezza delle stazioni può contenerli, e in tutti i vagoni sempre affollati, da masse in piedi o sedute ma affollate, anche perché uniformemente vestite di grigio-nero.
La stessa veduta danno le piazze affollate che consentono un’occhiata dall’alto, Fontana di Trevi, piazza del Pantheon – davano prima dell’ondata di caldo, che costringe a sbracciarsi, privilegiando per qualche giorno il bianco rosa pallido delle pelli. Non da oggi, non c’è memoria di folle variopinte in piazza o sulla metro, sarà una generazione, forse due. La cosa si nota oggi che in tv la pubblicità, benché in prevalenza sempre su fondo grigio (pavé, palazzi, interni, terreni vaghi, campagne, con gli stessi prati e i boschi virati sul seppia) ha intervalli consistenti di immagini colorate, sui toni decisi del rosso, del blu, del verde.

Crediti – “Le meraviglie” ha un minuto buono di crediti prima del film, e una lista interminabile nei titoli di coda, Alice Rohrwacher non sa più chi ringraziare. Anche Angelo Mellone, uno diretto, anzi sbrigativo, chiude il poemetto “Meridione a rotaia” con una lista lunghissima di ringraziamenti. È un vezzo che viene dalla scuola, dai crediti a scuola? Fino a ora i crediti avevano un senso, andavano a redattori (editor in inglese) o produttori che in qualche modo avevano contribuito al libro o al film. Ora vanno ai parenti, agli amici, ai conoscenti. A Dio mai, ma ai santi sì e ai protettori, a cui molti attingono, i debiti se non la forza o la creatività.

Esilio - “In Egitto”, la prima poesia di Celan per Ingeborg Bachmann nel 1948, l’amore che non fu possibile tra il perseguitato e la figlia dell’hitleriano, è un’invocazione a superare il baratro. Celan deve poter dire “a Ruth e a Miriam e a Noemi,”, ancora nell’esilio: “Vedete, dormo da lei!”, la straniera. Ma è un esilio comune, anzi un esilio come condizione interminabile e stabile.  Agamben lo spiega fine in “Pasqua in Egitto”, (uno scritto ora ripreso in “Il fuoco e il racconto”. Riprendendo una lettera di Celan a Max Frisch che lo invitava nel 1959, a trascorrere insieme, insieme con Ingeborg ora sua moglie, la Pasqua a Uetikon: “Non ricordando affatto di aver mai lasciato l’Egitto, celebrerò questa festa a Londra”. La Pasqua ebraica che celebra l’esodo dall’Egitto, ricorda Agamben. Ed era il nome ebreo “segreto” di Celan, Pesach, Pasqua. Uno che si suiciderà, nel 1970, il 20 aprile, un mese dopo la celebrazione della Pasqua, ebraica e cristiana.
“In Egitto” apre il volume “Tempo del cuore”, con l’epistolario tra Celan e Ingeborg Bachmann. Si legge, prima della poesia, la dedica “Per Ingeborg, per il suo ventiduesimo compleanno - che in realtà cadeva un mese dopo, anzi 33 giorni dopo): “Per Ingeborg\ Vienna, 23 maggio 1948,\ Alla estremamente precisa\ a 22 anni dal giorno della sua nascita,\ l’estremamente impreciso”.

Kipling – Fascista? Sembra inverosimile. Ma all’origine del sinistro epiteto, in aggiunta a reazionario, imperialista, jingoista, razzista, etc., è Orwell, che pure di Kipling condivide la nozione centrale di decency come metro morale, e il gusto per l’avventura. Orwell disse Kipling non propriamente fascista ma “pre-fascista”, in quanto “imperialista all’eccesso (jingo), insensibile moralmente e esteticamente nasueante”. Pur ricalcandolo.
Il soldato inglese, o comunque il soldato di Kipling, è la feccia sociale, il paria d’Inghilterra, agli occhi del bravo borghese. “Non è strano”, Kipling fa dire a Learoyd, uno dei suoi tre moschettieri, “che i benpensanti, pur parlando sempre della buona guerra, disprezzino proprio quelli che si battono? Dopo la vergogna di essere impiccato, si crederebbe che non ce n’è una più grande che  essere soldato”. Un “militarismo” polemico, contro le buone coscienze.
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Il segreto del suo “mistero” è la Bibbia? Salmi, sermoni, inni. Fornendo suoi dettagli biografici all’estimatore e corrispondente francese Chevrillon, il 22 ottobre 1919, Kipling esordisce: “La canzone di Mowgli è un calco diretto del canto di guerra dell’umanità primitiva, di cui il canto di Deborah nella Bibbia è l’esempio migliore”.
Kipling fu cresciuto nella Bibbia dalla famiglia affidataria cui i suoi genitori, tonando in India, lo lasciarono ai sei anni, a Portsmouth – “una donna evangelica, bigotta, limitata e invelenita”, aggiunge nella stessa lettera, che gli proibì altre letture.
Biblico è certamente il “Recessional Hymn”, l’inno all’impero che lo condanna agli occhi dei benpensanti, composto nel 1897 per il giubileo della regina Vittoria.

Noventa – Giacomo Noventa, anticonformista in ogni sua manifestazione letteraria, fatica a trovare un posto nelle storie – malgrado il patrocinio di Mario Soldati e altri letterati illustri. Ma Franco Loi, che non ne conosceva neppure l’esistenza, nonché la professione, se lo è sognato una notte, racconta in “Silenzio”, la stessa in cui Noventa moriva. Sognò uno che sapeva chiamarsi Noventa anche se non lo conosceva nemmeno di nome. Che lo incitò alla “via dritta”, che Loi ora intende alla poesia - allora Loi non scriveva poesia, non ne aveva mai scritto, e non ci pensava. “Un uomo dalla pelle strana color avorio”, come risultò la mattina dopo, quando incontrò il suo collega Carlo della Corte, che veniva proprio dalla veglia funebre a Noventa, di cui era amico.

Recitativo – “Per un recitativo dell’«Otello» ci abbiamo impiegato una settimana”, testimonia Ruggero Raimondi in morte di Abbado (“Amadeus”, giugno 2014). È nel melodramma quello che è il descrittivo nella narrazione, che situa, contestualizza, e definisce i caratteri. Volendo considerare il melodramma ancora un dramma, serio o giocoso, e non una successione di arie, duetti e terzetti, con qualche intermezzo coreutico.

Rosvita – Rifaceva Terenzio. Esce dal mistero (a partire dal suo stesso nome, forse Roswitha, o Hrotsvit , Hrotswith), o dalla disattenzione novecentesca, la prima poetessa tedesca e anzi europea – scrisse molto, in latino - dopo gli anni bui. Per la cura di Marco Giovini, studioso genovese.
Visse poco, dal 935 al 974, anno più anno meno. Ma abbastanza per essere ricordata autrice delle “Gesta Oddonis Caesaris Augusti”, l’imperatore Ottone I, di una storia del suo convento, Gandersheim, di sette leggende, o poemetti agiografici, di santi, e di sei drammi, che in realtà sono anch’essi aneddoti edificanti. Ma piena di verve, nei drammi. Da Terenzio riprendendo l’“imitari dictando” e, con risultati notevoli, la prosa ritmica rimata.
Il suo nome leggeva come clamor validus, «voce squillante». Un’etimologia che Jacob Grimm trovava derivata da un antico tedesco hruod-svind. Ma forse è anche un’eco della “vox clamantis” di Giovanni Battista nei Vangeli.

letterautore@antiit.eu

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