L’economia
prospera con l’innovazione, e l’innovazione è opera dello Stato, più che di
ogni altro. La potenza e la ricchezza degli Stati Uniti si fondano
sull’innovazione, e l’innovazione è voluta e pagata dalla Stato federale, sia
esso a gestione democratica o repubblicana, anche ai tempi di Reagan. In tutti
i campi di preminenza: l’informazione, la biotecnologia, l’energia nucleare, le
nanotecnologie. Mazzuccato cita cinque agenzie federali: la Darpa, Defense Advanced Research Projects Agency, il National Institute
of Health, con una dotazione che, grazie
ai successi, oggi ammonta a 32 miliardi di dollari, lo Small Business
Innovation Research, voluto da Reagan, che ha distribuito due miliardi di
contributi e incentivi (a Symantec e Qualcomm tra gli altri), l’Orphan Drug
Act, per la cura delle malattie rare, anch’esso voluto da Reagan, e la National
Nanotechnology iniziative.
La Darpa
lavora con 240 impiegati in tutto, di cui 140 esperti, e non fa ricerca, ma
promuove, valuta e finanzia le ricerche, con una dotazione di tre miliardi, e
risultati ovunque sempre eccezionali, da internet alle microfibre. Una pioggia
benefica per gli Usa. Al punto che la questione etica si pone, della ricerca
pubblica con profitti privati. Tanto più che molte aziende beneficiarie, la Apple
è famosa per questo, si sottraggono poi alle imposte. traendo vantaggio da ogni
possibile esterovestizione di comodo.
Torna lo
Stato imprenditore? È il titolo originario. In Italia lo diciamo innovatore
perché l’editore, vice-presidente della Confindustria, fa anche lui finta che quello
imprenditore era corrotto. Ma è la stessa cosa. Forse per un movimento di
pendolo: troppo Stato? vogliamo il
mercato, troppo mercato? vogliamo lo Stato. Ma la studiosa italo-americana dice
un’altra cosa – più in linea in effetti col titolo italiano: l’economia
progredisce con l’innovazione, e l’innovazione è, più o meno, di Stato. Pagata
dallo Stato, direttamente o attraverso le finanze pubbliche, fondazioni e
centri di ricerca esentasse, programmi settoriali internazionali (europei,
transatlantici), programmi comunitari. E più volte che non anche progettata e
patrocinata. È l’uovo di Colombo. Difatti, nessuno ha osato controbattere.
L’innovazione
non crea direttamente, né univocamente o prevedibilmente, ricchezza: lavoro, reddito,
salari, salari elevati. Ma la ricchezza non può fare senza. Gli Usa, il paese liberista
per eccellenza, hanno più Stato nell’economia che ogni altro paese europeo. Una
presenza diretta, secondo i dati Ocse: vi si fa ricerca con investimenti e partecipazioni
dirette, più che con gli incentivi fiscali, con i quali la Ue camuffa gli aiuti
pubblici all’industria. Internet è stato sviluppato dal ministero Usa della
Difesa. La Silicon Valley è nata con contratti militari. C’è lo Stato dietro l’algoritmo
google. Tutti i prodotti innovativi Apple, iPod, iPhone e iPad, si basano su
ricerche di scienziati e ingegneri europei e americani in centri di ricerca
pubblici, specificamente la tecnologia touch-screen.
Solo il disegno e l’uso commerciale, nota Mazzuccato, sono dovuti a Steve Jobs.
Sui semiconduttori, tecnologia in cui il Giappone aveva la leadership, gli Usa
hanno riconquistato le posizioni, con Intel, Microsoft e Apple, grazia e
ricerche e fondi federali. Molta green
economy si è sviluppata con fondi federali.
Un libro controcorrente? Un libro onesto. Negli Usa, patria del mercato, è tollerato: la verità si può almeno dire.
Mariana
Mazzuccato, Lo Stato innovatore,
Laterza, pp. XXVI + 351 € 18
Nessun commento:
Posta un commento