mercoledì 25 giugno 2014

Lo Stato imprenditore

L’economia prospera con l’innovazione, e l’innovazione è opera dello Stato, più che di ogni altro. La potenza e la ricchezza degli Stati Uniti si fondano sull’innovazione, e l’innovazione è voluta e pagata dalla Stato federale, sia esso a gestione democratica o repubblicana, anche ai tempi di Reagan. In tutti i campi di preminenza: l’informazione, la biotecnologia, l’energia nucleare, le nanotecnologie. Mazzuccato cita cinque agenzie federali: la Darpa, Defense Advanced Research Projects Agency,  il National Institute of Health,  con una dotazione che, grazie ai successi, oggi ammonta a 32 miliardi di dollari, lo Small Business Innovation Research, voluto da Reagan, che ha distribuito due miliardi di contributi e incentivi (a Symantec e Qualcomm tra gli altri), l’Orphan Drug Act, per la cura delle malattie rare, anch’esso voluto da Reagan, e la National Nanotechnology iniziative.
La Darpa lavora con 240 impiegati in tutto, di cui 140 esperti, e non fa ricerca, ma promuove, valuta e finanzia le ricerche, con una dotazione di tre miliardi, e risultati ovunque sempre eccezionali, da internet alle microfibre. Una pioggia benefica per gli Usa. Al punto che la questione etica si pone, della ricerca pubblica con profitti privati. Tanto più che molte aziende beneficiarie, la Apple è famosa per questo, si sottraggono poi alle imposte. traendo vantaggio da ogni possibile esterovestizione di comodo.
Torna lo Stato imprenditore? È il titolo originario. In Italia lo diciamo innovatore perché l’editore, vice-presidente della Confindustria, fa anche lui finta che quello imprenditore era corrotto. Ma è la stessa cosa. Forse per un movimento di pendolo: troppo Stato?  vogliamo il mercato, troppo mercato? vogliamo lo Stato. Ma la studiosa italo-americana dice un’altra cosa – più in linea in effetti col titolo italiano: l’economia progredisce con l’innovazione, e l’innovazione è, più o meno, di Stato. Pagata dallo Stato, direttamente o attraverso le finanze pubbliche, fondazioni e centri di ricerca esentasse, programmi settoriali internazionali (europei, transatlantici), programmi comunitari. E più volte che non anche progettata e patrocinata. È l’uovo di Colombo. Difatti, nessuno ha osato controbattere.
L’innovazione non crea direttamente, né univocamente o prevedibilmente, ricchezza: lavoro, reddito, salari, salari elevati. Ma la ricchezza non può fare senza. Gli Usa, il paese liberista per eccellenza, hanno più Stato nell’economia che ogni altro paese europeo. Una presenza diretta, secondo i dati Ocse: vi si fa ricerca con investimenti e partecipazioni dirette, più che con gli incentivi fiscali, con i quali la Ue camuffa gli aiuti pubblici all’industria. Internet è stato sviluppato dal ministero Usa della Difesa. La Silicon Valley è nata con contratti militari. C’è lo Stato dietro l’algoritmo google. Tutti i prodotti innovativi Apple, iPod, iPhone e iPad, si basano su ricerche di scienziati e ingegneri europei e americani in centri di ricerca pubblici, specificamente la tecnologia touch-screen. Solo il disegno e l’uso commerciale, nota Mazzuccato, sono dovuti a Steve Jobs. Sui semiconduttori, tecnologia in cui il Giappone aveva la leadership, gli Usa hanno riconquistato le posizioni, con Intel, Microsoft e Apple, grazia e ricerche e fondi federali. Molta green economy si è sviluppata con fondi federali.
Un libro controcorrente? Un libro onesto. Negli Usa, patria del mercato, è tollerato: la verità si può almeno dire.
Mariana Mazzuccato, Lo Stato innovatore, Laterza, pp. XXVI + 351 € 18

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