Il testo
lungo del titolo è un abbozzo teatrale, anzi melodrammatico, in forma di note
di regia. Il poeta scandisce la sua rappresentazione come più tardi si sarebbe
fatto con la tecnica del video, carrellata dopo carrellata. Tutto artigianale,
poco professionale. L’esequie della luna s’immagina della nobiltà, di rango e
di spiriti, tra “quarti lunari” e accademie d’araldica. Tutto in forma sempre
di prosa d’arte, preziosa, nulla dev’essere spontaneo nella letteratura del
barone, sia pure per finta – che nelle lettere
coeve è invece spiccio e preciso. Un’eco sensibile e insieme remota
generando, di un mondo che fu. Ma già nello squallore.
Prose brevi
le altre, poemi in prosa. Di sogni possibili, o lego di immagini. “L’assedio
silenzioso della solitudine” domina. Specie per chi la privilegia: la casona
dei Piccolo a Capo d’Orlando il giorno dopo si ricorda per i soffitti
altissimi, e gli ambienti spogli, trascurati, residui, essi stessi un’interminabile
lenta fine. Misantropica per vanità (snobismo), la sola consistenza – si può
dire di questa nobiltà gattopardesca che il suo principio era la sua fine.
Un abbozzo
del “Giardino delle Esperidi”, tragedia in versi, chiude la raccolta. Sempre
alata. Seppure, se Dio vuole, con qualche caduta di stile: Eracle “tanta pena e
tanta fatica” si dà “perché i pallidi aedi e il popolo credulone vogliono
così”, un Eroe che parla come tutti – “le ninfe che danzano sempre” gli
“sembrano pesci”, che puzzano come si sa. Ma la tragedia in versi, pare a lungo
inseguita, tutta la vita, sfugge al barone.
Il filone
Pascoli-Montale inghirlandato alla siciliana. Quel misto compiaciuto di barocchismo,
cassate da indigestione, chissà perché sempre a opera di suore, e pezzi duri
sciolti. Una maniera da guida turistica, di terza mano. Lucio Piccolo è l’autore
di un solo libro, “Canto barocco”, che ha già molto più dei suoi sessant’anni.
Lucio
Piccolo, L’esequie della luna,
Scheiwiller, remainders, pp. 91 € 2,58
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