martedì 24 giugno 2014

Non c’è più lo spazio delle riforme

Si fanno oggi riforme su riforme, si annunciano perlomeno anche se poi non si fanno, mentre lo spazio delle riforme è esaurito, o così sembra. La riforma è un progetto politico, e non si può escludere un politico di genio che abbia un’illuminazione imprevista. Ma sociologicamente si individua e si prepara analizzando criticamente la realtà, quando essa mostra crepe e insufficienze. Oggi è come se la globalizzazione avesse chiuso o esaurito ogni spazio di riforma. In Italia come in Cina.
Si prenda il mercato del lavoro. Ovunque in Europa (di più nell’Europa più ricca, occidentale) va nella duplice direzione di una domanda iperqualificata che non trova offerta, e di un’offerta non qualificata che non trova domanda. Da cui il doppio sovraccarico di disoccupazione e di immigrazione in eccesso e clandestina – una doppia negatività, che si somma invece di elidersi, che curiosamente colpisce da qualche tempo anche la Cina, regina della globalizzazione. O si prenda la produttività. Che necessita investimenti. Mentre i capitali sono dirottati, per la rendita materie prime o la rendita lavoro (sottopagato, ipersfruttato) all’esterno dei sistemi produttivi nazionali e dell’Europa.
È questo il nodo dell’Europa e dell’Italia: conquistarsi spazi di riforma. È anche la via per sfuggire alla jugulazione germanica attraverso il compact fiscale: trovarsi uno spazio di riforma nel più ampio mercato globale – ogni ipotesi è possibile: una burocrazia che facilita gli investimenti invece di scoraggiarli, la defiscalizzazione degli investimenti, la riqualificazione professionale dei tanti laureati in scienza delle comunicazioni o discipline umanistiche. La Germania, come si sa, si è liberata della jugulazione globale attraverso la “riforma” radicale del lavoro – che può essere anche superpagato in alcune aziende, in proporzione ai benefici, ma non ha più nessuna garanzia contrattuale. 

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