Si
ripropongono le ottime letture dei miti greci di Kerényi, più duttili forse, e
più “moderne”, di quella di Greaves, che gli procurarono stima e ammirazione di
grandi letterati, Thomas Mann, Hermann Hesse tra gli altri. Ma singolarmente
inerti oggi.
Si
penserebbe la riedizione in voga dello studioso rispondere a una domanda. Che
però non risulta, non che si senta. O non sarà un tentativo di stimolarla, una
domanda che non c’è? Di occupare un vuoto sperando che si accenda una luce.
Pensieri tristi, avulsi, dalle loro storie, queste rilettura inducono.
Cesare
Pavese trovava il fascino di Kerényi nella ricostituzione della facoltà mitica
come facoltà nostra, di noi lettori, “facoltà creatrice che è anche nostra,
presente”. Specie delle “figlie del sole”: “Quando vede in certe dee greche la
solarità (esso sono figlie o parenti del Sole), mette in chiaro una nostra
capacità di vivere come un tutto cosmico un nostro incontro umano”. Che era
eccessivo – e nel caso di Pavese pericoloso. Ma oggi è semmai il contrario: tutto
è mediocre per il mediocre.
Il
millennio è sempre più dell’indistinto. Di un mercato, una rete, una politica
onnivori, che svuotano invece di pascere. In cui queste storie rimbombano vuote.
Il sacro essendo svanito nel talk show,
la frase fatta. Il tragico nella crisi cronica, nel mezzo dell’abbondanza, il
macmilliano “never had it so good”. E la poesia nella democrazia dell’hashtag:
tutti maestri di scuola, considerati, sentenziosi, con le tremila parole giuste,
operosi con gli occhi bassi.
Károly
Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia,
Saggiatore, pp. 614 € 16,50
Figlie del sole,
Bollati Boringhieri, pp. 140 € 11
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