lunedì 9 giugno 2014

Piovono miti sul millennio inerte

Si ripropongono le ottime letture dei miti greci di Kerényi, più duttili forse, e più “moderne”, di quella di Greaves, che gli procurarono stima e ammirazione di grandi letterati, Thomas Mann, Hermann Hesse tra gli altri. Ma singolarmente inerti oggi.
Si penserebbe la riedizione in voga dello studioso rispondere a una domanda. Che però non risulta, non che si senta. O non sarà un tentativo di stimolarla, una domanda che non c’è? Di occupare un vuoto sperando che si accenda una luce. Pensieri tristi, avulsi, dalle loro storie, queste rilettura inducono.
Cesare Pavese trovava il fascino di Kerényi nella ricostituzione della facoltà mitica come facoltà nostra, di noi lettori, “facoltà creatrice che è anche nostra, presente”. Specie delle “figlie del sole”: “Quando vede in certe dee greche la solarità (esso sono figlie o parenti del Sole), mette in chiaro una nostra capacità di vivere come un tutto cosmico un nostro incontro umano”. Che era eccessivo – e nel caso di Pavese pericoloso. Ma oggi è semmai il contrario: tutto è mediocre per il mediocre.
Il millennio è sempre più dell’indistinto. Di un mercato, una rete, una politica onnivori, che svuotano invece di pascere. In cui queste storie rimbombano vuote. Il sacro essendo svanito nel talk show, la frase fatta. Il tragico nella crisi cronica, nel mezzo dell’abbondanza, il macmilliano “never had it so good”. E la poesia nella democrazia dell’hashtag: tutti maestri di scuola, considerati, sentenziosi, con le tremila parole giuste, operosi con gli occhi bassi. 
Károly Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Saggiatore, pp. 614 € 16,50
Figlie del sole, Bollati Boringhieri, pp. 140 € 11

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