“Ci sono poeti
che rimangono prigionieri dei propri temi”, esordiva Bordani nella
presentazione dieci anni fa (l’edizione, ora all’ottava ristampa, ripropone con
aggiunte il volume che accompagnava il dvd “Più bella della poesia è stata la
mia vita”, 2003). E dei propri stilemi. Anche di quello della versificazione di
getto, di cui Alda Merini ebbe da ultimo il dono e fece una pratica – una metà
dei testi sono dettati, ad amici di passaggio, un’altra metà, scritta a
macchina, abbandonata o dispersa, Ambrogio Borsani paziente ha via via ha
raccolto. Con effetti ripetitivi, oppure gratificanti, dipende dall’umore. Di
livello sempre alto, ma allora una sorta di modo di essere ed esprimersi della
poetessa nella maturità.
Il tema è
sempre l’amore. Alda Merini si distinguerà per l’irrefrenabile ansia d’amore, declinato
in ogni piega della quotidianità, dello sguardo, del sonno, del rimpianto. In metafore,
allegorie, similitudini, anafore, le tante analessi, per fortuna ricorrenti, le
analogie che tanto sono in pregio nel Novecento (Ungaretti, Montale
Bertolucci), l’apostrofe pedagogica frequente, materna, e ellissi, endiadi,
antifrasi, iperboli, seppure con moderazione, e non infrequenti zeugmi. Uno
stilista ci troverebbe un bagaglio immenso. Tanto più per essere “naturale”:
spontaneo, infuso. Molto è parole libere,
anche se “ispirate”: si fatica a volte, troppe immagini si sovrappongono.
È il
posseduto che possiede. Avuto riguardo ai problemi mentali che la poetessa ha
sofferto, ai lunghi soggiorni in manicomio. Alle passioni sempre violente (incontrollate,
incontrollabili). All’immaginario reale, di fatti, eventi, relazioni,
situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata, di tutto lo strumentario poetico: si può
dire che Alda Merini non dice una parola in prosa. Ma questo pone un problema,
volgarmente di ripetitività. Criticamente d’inafferrabilità, se non per il caso
umano. E quindi si prende per quello che è, un fluire purtroppo indistinto,
anche se di acque pure.
Ha avuto
tanti amici, l’Alda neo milanese ai Navigli, soprattutto amiche. Che però la attorniavano
come un’ape regina feconda, per prendere invece che dare. Anche Maria Corti, la
filologa che più le fu vicina. E il motivo può essere questo: che dirne? È una
poesia che avvicina troppo, disarmati.
Alda
Merini, Clinica dell’abbandono,
Einaudi, pp. 120 € 12
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