martedì 10 giugno 2014

Possessione poetica ai Navigli

“Ci sono poeti che rimangono prigionieri dei propri temi”, esordiva Bordani nella presentazione dieci anni fa (l’edizione, ora all’ottava ristampa, ripropone con aggiunte il volume che accompagnava il dvd “Più bella della poesia è stata la mia vita”, 2003). E dei propri stilemi. Anche di quello della versificazione di getto, di cui Alda Merini ebbe da ultimo il dono e fece una pratica – una metà dei testi sono dettati, ad amici di passaggio, un’altra metà, scritta a macchina, abbandonata o dispersa, Ambrogio Borsani paziente ha via via ha raccolto. Con effetti ripetitivi, oppure gratificanti, dipende dall’umore. Di livello sempre alto, ma allora una sorta di modo di essere ed esprimersi della poetessa nella maturità.
Il tema è sempre l’amore. Alda Merini si distinguerà per l’irrefrenabile ansia d’amore, declinato in ogni piega della quotidianità, dello sguardo, del sonno, del rimpianto. In metafore, allegorie, similitudini, anafore, le tante analessi, per fortuna ricorrenti, le analogie che tanto sono in pregio nel Novecento (Ungaretti, Montale Bertolucci), l’apostrofe pedagogica frequente, materna, e ellissi, endiadi, antifrasi, iperboli, seppure con moderazione, e non infrequenti zeugmi. Uno stilista ci troverebbe un bagaglio immenso. Tanto più per essere “naturale”: spontaneo, infuso. Molto è parole libere, anche se “ispirate”: si fatica a volte, troppe immagini si sovrappongono.
È il posseduto che possiede. Avuto riguardo ai problemi mentali che la poetessa ha sofferto, ai lunghi soggiorni in manicomio. Alle passioni sempre violente (incontrollate, incontrollabili). All’immaginario reale, di fatti, eventi, relazioni, situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata, di tutto lo strumentario poetico: si può dire che Alda Merini non dice una parola in prosa. Ma questo pone un problema, volgarmente di ripetitività. Criticamente d’inafferrabilità, se non per il caso umano. E quindi si prende per quello che è, un fluire purtroppo indistinto, anche se di acque pure.
Ha avuto tanti amici, l’Alda neo milanese ai Navigli, soprattutto amiche. Che però la attorniavano come un’ape regina feconda, per prendere invece che dare. Anche Maria Corti, la filologa che più le fu vicina. E il motivo può essere questo: che dirne? È una poesia che avvicina troppo, disarmati.
Alda Merini, Clinica dell’abbandono, Einaudi, pp. 120 € 12

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