F.T Marinetti, ufficiale di artiglieria a Gorizia
nella primavera del 1917, quando ci passa Kipling, lo ricorda nei “Taccuini”. Due
appassionati della tecnica in parallelo: uno di strade, Marinetti di scoppi. Due
appassionati della guerra a confronto: Marinetti del sangue, Kipling della virtù,
o valore. Pietra, calce, strade, costruzioni, questo entusiasma Kipling in
visita alle trincee sulle Dolomiti: “Parodiando Macaulay, diremo che ciò che è
l’ascia per il Canadese, ciò che il bambù è per l’Indiano, ciò che il ghiaccio
è per l’Eschimese, etc., la pietra e la calce sono per l’Italiano”. Un
costruttore.
Inviato sul fronte italiano, nel quadro della
propaganda di guerra del ministero della Difesa, come già sul fonte francese, in
entrambi i casi in compagnia di un altro scrittore di fiducia dello Stato
Maggiore, Perceval Landon, Kipling sa raccontare anche questi modesti reportage. Anche se, sul fronte italiano,
vede poco, montagne dietro montagne. E senza pregiudizi, a parte l’esecrazione
dell’“Unno”. La banda militare, con l’eco, racconta come un dispetto agli
austriaci. La precisione e l’entusiasmo degli Alpini gli ricordano gli Zulù
quando si occupano del loro bestiame. Appena può, elogia la “nuova Italia”: più
coraggiosa perché abituata a rischiare al vita per questioni personali: “Forse
il suo istinto secolare all’ordinamento amministrativo si è risvegliato sotto
le spade”. E forse non aveva torto, forse la “nuova Italia” ha dissipato invece
di capitalizzare.
Le riedizioni utilizzano la traduzione del 1917. Le
corrispondenze di Kipling (di quelle di Landon si è
persa la traccia), subito pubblicate sul “Daily Telegraph” e rapidamente raccolte
in volume, furono immediatamente tradotte a uso patriottico, “La France en
guerre” e “La guerra nelle montagne”. L’edizione
Mursia si completa con una breve storia degli alpini di Massimo Zamorani.
“Sur la guerre” è uno strano libro. Ripropone “La
guerra nelle montagne” invece che “La France en guerre”. E alcune lettere
inedite di Kipling al letterato francese Chevrillon, nipote di Taine, storico,
accademico, anglofilo. Lettere di estremo interesse, per la biografia di
Kipling, e le sue idee in fatto di nazionalismo. Che da sole giustificano la
quarta entusiasta di copertina, sui “celebri talenti di osservatore di colui di
cui Henry James diceva: “Kipling mi tocca
personalmente, come l’uomo di genio più completo che abbia mai conosciuto”.
Ma i due testi fa precedere e seguire da una prefazione e un vecchio saggio
corrosivi, perfino violenti: i cliché
del Kipling militarista, vittoriano, imperialista, reazionario, anglomaniaco,
perfino razzista, vengono debolmente discussi e sostanzialmente confermati.
La prefazione, del curatore Lucien d’Azay,
assomiglia “il primo” Kipling “meno a un romanziere che a un grande reporter del
genere Tintin”. E ribalta contro Kipling le letture appassionate di Orwell,
Chesterston, e francesi vari. Su un fondo bizzarramente filotedesco della
guerra, sotto la pretesa dell’antimilitarismo, e perfino filoturco. A un certo
punto d’Azay assomiglia il suo Kipling militaresco a Pasolini, quando nel ’68 si
schierò coi i poliziotti, ma non lo salva – forse nemmeno Pasolini. “L’armée
anglaise peinte par Kipling”, un saggio del 1900 della giornalista Thérèse
Bentzon, è una settantina di pagine da guerra fredda Francia-Gran Bretagna: addossa
a Kipling, che aveva 34 anni, tutte le malefatte dell’esercito britannico, da
cui la Francia si riteneva all’epoca jugulata, in Africa e altrove – “nessuno più di lui avrà
contribuito a esasperare l’animalità anglo-sassone”, inglese cioè e americana, “l’araldo e l’ispiratore
della guerra”. .
Nelle lettere Kipling annota a lungo la
meraviglia dell’opinione britannica, filotedesca, allo scoppio della guerra. Assiste
con sua propria meraviglia alla crescita della coscrizione volontaria in Gran Bretagna nel primo anno e mezzo di guerra, fino
a 2,5 milioni di uomini “validi”, un terzo della popolazione maschile in età
lavorativa. Più mezzo milione di cinquantenni ancora abili alle marce. E sempre
con meraviglia registra la novità tutta tedesca della guerra di distruzione,
che non può essere che suicidaria. Sa anche subito, con sgomento e non con
ilarità, che non sarà una guerra guerreggiata, ma un “killing di massa”.
In poche righe dell’ultima lettera a Chevrillon,
a rinforzo di una sua nota biografica, Kipling si conferma “figlio del mondo”,
senza pregiudizi. O born free come
dopo di lui si dirà, nato libero – che è il segreto del suo “mistero”. L’esatto
opposto del “vittoriano”, inteccherito nei pregiudizi. Grazie a un’infanzia
vissuta in India come un piccolo indiano, seppure con i privilegi del colono:
la tata cattolica, il servo indù, il personale mussulmano, il cancello aperto
sulla strada e la libertà di gironzolare, tra la folla, i mercati, i templi.
Nella vita insomma dei più ogni giorno. Un bambino a cui bisognava ricordare a
tavola di parlare in inglese coi genitori,. Che seppe tutto, con naturalezza,
da sempre: “Non mi ricordo di un’epoca della mia vita in cui non abbia
accettato, come li accettavo, i fatti delle caste, del cibo, del gioco, delle
pratiche elementari della vita che si velano così discretamente ai ragazzi in
Occidente”. È il privilegio fondativo dell’animo libero. .
Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne.
Impressioni del fronte italiano, Passigli, pp. 68 € 7,50, Mursia, pp. 128 €
12
Sur la guerre, Pocket\La Revue des
Deux Mondes, pp. 253 € 8,50
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