Una memoria
d’autore inventato, musicista, scrittore, pittore, qui incisore, che Guignard
predilige, in mezzo a tanti artisti veri e noti. Mezzatinta, come la tecnica d’incisione
che il protagonista, Meaume le Romain, avrebbe inventato, o maniera nera. A Toulouse,
Bruges, Roma, Anversa, Londra, in luoghi sempre storici. A Roma, dove ha terrazza
sull’Aventino, s’illustra per le incisioni erotiche. Di cui è maestro perché
vive il corpo, l’erotismo, come il solo fatto reale. Ma come una ricerca insaziata.
Dopo la storia della sua vita a vent’anni, tutta corporale, con la bellissima
di Bruges, il cui fidanzato l’ha sfregiato all’acido. Fino a che non morirà per
caso per mano del loro bellissimo figlio, l’uno sconosciuto all’altro.
Una favola.
Senza morale. Della vita che non va dalla vita alla morte ma dall’amore all’amore.
A tinte rapide, suggestive più che descrittive: “niente colore, nient’altro
che sfumature”, la divisa del simbolismo è quella di Guignard. Al modo di un trattamentone
cinematografico, una successione di quadri, con cui Guignard s’illustrerà al
cinema, a partire da “Tutte le mattine del mondo”, su Sainte-Colombe e Marin
Marais, i virtuosi del violoncello. Sempre rigorosamente primo Seicento. Come i
personaggi veri modello di Meaume: il tenente-colonnello Louis de Siegen, inventore
della maniera nera o mezzatinta, e Callot, l’incisore celebre.
Meaume è il
nome del biografo, anche lui primo Seicento, di Callot. Che fuggì di casa a
Nancy nel 1605 per raggiungere Roma, suggestionato dai racconti fiabeschi del
pittore incisore Bellange. Con una troupe di attori-girovaghi fino a Firenze, poi
da solo fino a Roma. Dove fu riconosciuto da alcuni mercati suoi concittadini e
riportato a casa. Aveva dodici anni. Fuggira di nuovo, e sarà ripreso non
lontano da un fratello. Finché nel 1609, a sedici anni, può ripartire per Roma
con l’accordo dei genitori. Vi impara molte arti. E poi ritorna in Lrena per
una prospera attività che lo renderà famoso.
A Callot si
deve “l’uso della vernice del liutaio che permette un lavoro (di bulino) più
fine”, di cui Meaume va fiero. Ma il nome (non ricorre già in Yourcenar, un Meaume
pure lui insabbiato nella luce di Roma?)
è anche il latino Momus, latinizzazione
di una divinità minore della mitologia greca che personifica la maldicenza e la
beffa. E per estensione il diavolo: così in “Antologia Palatina”, I, 103: Mòme miaifòne, Momo assassino, sanguinario
- “Momo, dio del biasimo e della provocazione, oscilla tra la più turpe
cortigianeria e la più clamorosa eversione”, Sanguineti.
Un omaggio
all’amore, all’arte come passione di vita, e a Roma. Che non ha trovato in quindici anni editore in italiano – in inglese e
in spagnolo sì.
Pascal
Guignard, Terrasse à Rome, Folio,
pp. 128 € 5
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