Bugia – Non si mente del tutto mentendo.
Dio – Niente di ciò che è manufatto piace come la
brusca creazione: un viso, una figura, un taglio di luce, un paesaggio,, anche
la tempesta, anche il terremoto. La roba a cui l’umo non può mettere mano. Il
piacere intendendosi come stupore: piace cioè impressiona, s’imprime,
condiziona. Una Ferrari? Un vestito di Dior? Sono per pochi, per reddito e
gusto. Il manufatto artistico conferma l’imponenza del creato, la voglia di
riprodurlo essendo la sua ragione. Si possono intendere l’una e l’altro, la
creazione e il piacere che dà, due forme di Dio. Che più spesso non è in chiesa,
chiuso, smarrito.
“Un Dio
s’incontra nel reale”, dice bene Lacan.
Io
- Se Dio fosse nel processo hegeliano di negazione e oltrepassamento, allora
sarebbe un serial killer: una cosa è
o non è. L’io protestante, o idealismo, è l’umiliazione dell’individuo, per
quella rivolta contro l’oggetto che è invece il soggetto, una moltitudine di
soggetti, mai riducibili a oggetti, anche perché lavorano insieme alacri per
approfondirsi e moltiplicarsi - cosa di cui il Vaticano e la chiesa sempre sono
stati al corrente (anche fuori dal confessionale).
Riforma - Non è nata capitalista, ma se ne fa vanto. È
all’origine della superiorità del Nord contro il Sud. Contro i Sud del mondo, e
quindi contro il mondo: ogni razzismo è chiusura e autolimitazione.
Non fu
progressiva, e fu anzi una reazione, contro il Rinascimento, che riuscì a
bloccare - Nietzsche lo spiega più volte: il servo arbitrio è abominevole. Soddisfece
l’istinto beghino, sacrificale. E, checché ne abbia potuto dire Max Weber, non
piantò il capitalismo, se esso si vuole libertà e democrazia.
Che la
Riforma escluda la Rivoluzione non è fisima di Carlyle e Hegel: se la Riforma mancata
implica una politica dimezzata, senza la libertà, la Riforma invece non la
esclude del tutto, escludendo la politica?
La
storia della Riforma non è migliore di quella della Controriforma.
La Riforma non scaturì da uno spirito più
moderno, ma era in buona parte una reazione del fondamentalismo cristiano,
contro l’unità di natura e grazia, o unità del mondo.
Il necrologio che Hamsun, l’anarchico premio
Nobel, dedicò a Hitler il giorno della capitolazione, lo dice “un guerriero, un
pioniere dell’umanità, un apostolo del vangelo del diritto di tutte le nazioni.
Era un riformatore di altissimo rango, ma il suo destino storico fu di operare
in un’epoca di barbarie senza precedenti, una barbarie che ha finito per
abbatterlo”. Hitler avrebbe obiettato, si voleva rivoluzionario e non
riformatore, ma il ritratto per il resto avrebbe gradito: la barbarie che con
Hamsun combatteva con la Riforma era la democrazia, non altro.
Silenzio
–
Esiste, naturalmente, ma loquace. Quando si legge, si riflette, si prega, si
rimemora.
Mario Brunello, il musicista, invita in
“Silenzio” ad ascoltare il silenzio della natura. Tace infatti l’universo
fisico, ma parla. Per indizi, cenni, le stesse cesure, che più sanno di
silenzio. È dunque in linguaggio. Parte del linguaggio parlato, e un linguaggio
a sé.
Il suono della sera, o del mattino, del buio o
della terra che si risveglia, dell’aria in altitudine, del mare in bonaccia al
largo, questo è il silenzio.
Molte partiture lo prevedono – che Brunello ritraccia.
Ma sempre è imprevedibile all’esecuzione. Il più famoso, il minuto di silenzio
che prelude al quarto tempo della Sinfonia n. 2 di Mahler, per esempio, Miung
Wung Chun ha eseguito fragoroso con l’orchestra di Santa Cecilia a Roma sabato 1 febbraio, benché “sostituto” dell’ultimo
momento. Forse in memoria, l’orchestra o il maestro, o entrambi, di Abbado. Che
con la n. 2, l’opera di Mahler da lui prediletta, lo celebravano.
Abbado
lo stesso giorno l’“Economist” celebrava nell’obituary come maestro del silenzio: “C’è, diceva Abbado, un certo
suono nella neve. Che non viene dal calpestarla. Stando su un balcone si può
sentirla. Un suono che cade, si allontana, si smorza fino al nulla, pianissimo, come un respiro. Aveva
imparato ad ascoltarlo dal nonno materno, un esperto di lingue antiche. Da un
mero alfabeto, o un geroglifico, il nonno sapeva estrarre la musica che v’era nascosta”.
Sogno – È dentro il sonno, che è
dentro il buio, anche in piena luce, come in un liquido amniotico. Ma attenta
al mondo come apparenza: non ce ne sarebbe bisogno, di un’apparenza di
apparenza cioè.
Suicidio - Si fa pure per
gioco, la roulette russa, o la caduta
libera del paracadutista, o in Giappone la cucina dei tetraodonti, pesce
istrice, pesce pollo, pesce balestra, pesce scatola, del cui veleno il cuoco
lascia traccia lieve, quanto basta a stuzzicare la lingua e dare un gusto di
paralisi, quando non sbaglia. In Giappone uccidersi è un diritto e un onore,
porta la reputazione dei posteri, e dunque la vita per l’eternità. Ma questa
spiegazione apparenta i posteri, e i giapponesi, al personaggio di Gogol che
sognava di uccidere qualcuno per uscire sul giornale. La roulette russa invece, con un solo proiettile nel tamburo, è feroce
esecuzione, prolungata.
“Ci
si uccide per impotenza”, dice Kafka a Janouch, per “un atto di egoismo spinto
all’assurdo”, ma è assurdo il Kafka di Janouch. Scrivendo a Brod invece, al
solito minuzioso e argomentativo, Kafka disse unica conclusione sensata della
sua vita “non il suicidio, ma il pensiero del suicidio”. Che non vuole dire
nulla – una debolezza? - ma per lui sì, era quanto bastava per darsi dell’incapace:
“Uu che non riesci a fare nulla, vuoi fare proprio questo?”.
Stupidità - È l’unica cosa, diceva
Renan, che dia nell’uomo un’idea dell’infinito. È una battuta di spirito, ma
apre una strana finestra nel concetto dell’infinito: una sorta di occupazione
del posto, in realtà. Come ogni forma (determinazione) del linguaggio.
zeulig@antiit.eu
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