Il presepe ha il Guardincielo, che fa la
bocca a O, pastore dello Stupore. Patrizia
Cavalli (“Datura”, p. 108) si chiede: “Possibile\ che solo a noi sia dato lo
stupore?” Jeanne Hersch aveva già concluso, qui alla prima pagina: “Stupirsi, è
proprio dell’uomo”, lo stupore adottando come innesco della conoscenza (il
titolo originale è “L’étonnement philosophique”).
Vico non
sarebbe stato d’accordo, che voleva gli uomini “bestioni tutto stupore e
ferocia”. Ma è indubbio: la filosofia nasce con esso, lo stupore è ciò che ha
portato gli antichi greci a porsi “le loro strane domande”. A cominciare da
Talete e la scuola di Mileto. Che posero la questione: che cosa persiste
attraverso il cambiamento? La sostanza. E cos’è la sostanza? Tema che Platone riprende, “Teeteto”, Aristotele, “Metafisica”, Plotino più di tutti, “Enneadi”. Ma a mano a mano,
bisogna pure dire, lo stupore scema, la scoperta: le ultime domande, se non le
risposte, sono sempre la prima.
Le ultime
risposte, per quanto sofisticate, variano peraltro poco: il nominalismo, vedo
il cavallo ma non la cavallinità, il realismo, la soggettività, da Descartes a
Nietzsche, inclusa l’impossibilità del Cristo o della fede (Kerkegaard), e l’irriducibilità
dell’essere (Begson), l’inconscio, la rimozione (Freud), la trascendenza, la
temporalità – l’opera è del 1981, Jeanne Hersch si ferma a Heidegger e Jaspers.
E non più risolutive che l’aria, l’acqua,
fuoco e l’infinito dei milesi, nemmeno tanto nuove. La capacità di
stupire della filosofia è limitata? Specie nel mainstream, da Kant in qua, della filosofia sistematica, assertiva.
“Che cos’è l’essere”, direbbe ancora Hume, o la scuola di Mileto. La ricerca dell’“essere dell’esistente” è piena
Mileto.
Curiosa
opera, che in una prospettiva evolutiva, una storia della filosofia dal punto
di vista della novità, della scoperta, finisce per metterla in surplace da 2.500 anni. L’esito è
quello di Kant: il soggetto non può aggiungere nulla all’essere. Hegel, che
pensava di aver quadrato il cerchio, col pensiero totalizzante in grado di
fissare la verità, riduce il razionale al reale – neppure consolatorio. La libertà dell’etica (del pensiero) e la necessità della geometria vanno in
simbiosi, direbbe Spinoza: la libertà è necessità,
la necessità è libertà – promettente,
ma Spinoza a 45 anni morì. Il resto è religione (il mondo creato), col problema
insoluto del male, oppure vanità, nichilismo (materialismo), con la fine della
filosofia. Siamo sempre al paradosso di Zenone: il moto e il mutamento dominano
la nostra esperienza della realtà, ma noi siamo incapaci di pensarli.
Opera
arguta, forse involontariamente. Montale, cronista maligno, che ha incontrato
Jeanne Hersch nel 1949 a un convegno ginevrino delle Rencontres Internationales
di cultura, la ricorda così nel quinto di una serie di servizi che scrisse
sul”Corriere della sera” il 16 settembre (ora in “Ventidue prose elvetiche”, p.
88), dopo aver introdotto Karl Jaspers, l’oratore della seduta, un uomo altissimo,
dai capelli bianchi un po’ a zazzera e dagli occhi chiari metallici e severi,
che “parla in tedesco, un tedesco così scandito e aristocratico che tutti
(anch’io) hanno l’illusione di capirlo”: “Lo accompagna la sua interprete,
Jeanne Hersch, che registra ogni sua parola: una donna piccola, bruna, scuretta
di pelle, coi capelli accercinati attorno alla testa, che passa per essere la
più fedele depositaria del suo pensiero” – con un sussulto in fine: “Quando
però la Hersch traduce il verbo del maestro, non dirò che le cose
s’intorbidino, ma certo si fanno chiare fino all’evanescenza”. Una filosofa che
di preferenza ha lavorato “sul terreno”, dei diritti civili all’Onu, la cui
opera principale s’intitola “L’illusione della filosofia” – Abbagnano, che
“L’illusione della filosofia” curò nel 1942, a guerra ancora vinta, lo sapeva
già: “Certo, l’essere non può più costituire l’oggetto della filosofia, se
questa ha perduto la sua ingenuità primitiva”.
Jeanne
Hersch, Storia della filosofia come stupore
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