All’improvviso è l’ora di Montaigne, di
cui si ripubblicano anche i “Saggi” di Fausta Garavini “riveduti e corretti” -
con l’originale fanno un libro di 2.500 pagine. Un doppio, uno specchio, un
compagno, mai impositivo. Uno che non dà una filosofia, nemmeno scettica. È non
dà soluzioni. La chiave del buon ricordo è questa, che non dà soluzioni? Ma uno
che aiuta a “scriversi”, a conoscersi.
Il miracolo è doppio, essendo il personaggio
invece uno che ha tutto per essere antipatico. Pre-pensionato, anzi pensionato
baby, coltivatore incapace, padre di famiglia assente – eccetto che per la “figlia
eletta” Marie de Gournay una giovane corrispondente alla sua tarda età. Da
tutti i punti di vista un egotista. Anzi un cialtrone: uno che vive di rendita,
dissipandola. Con appossimazioni. Quella per esempio, I, 25, di
associare i turchi agli spartani in quanto negatori della cultura, e di tenerli
per questo in gran rispetto – cosa non vera, e comunque, se lo fosse,
ingiustificabile. Tutta roba che la biografa, competente archivista, non manca di sottolineare
un po’ in tutti i venti capitoli, in ognuno di quelli che chiama inviti o tentativi
di dare una risposta al quesito montaigniano “come vivere?”.
Titolo originale “How to live. Or A Life of Montaigne, in one question and
twenty attempts at an answer”, questa “arte di vivere” è un esercizio in
biografia, attraverso la rilettura dei “Saggi”. Una biografia un po’ acida. Prolissa
a volte, ripetitiva, per indirizzarsi pedagogicamente a un grande pubblico. E,
forse, per voler essere equanime, cosa
di cui Montaigne non ha bisogno. Con qualche faglia. Pietro, il padre, rappresenta
dapprima soldato di ventura al seguito dei predatori francesi in Italia, e poi
commerciante di dubbia moralità. Mentre fu padre sempre attento ai figli,
quello che volle il piccolo Michel educato in latino, e alla moglie. Cui lasciò
nel testamento il patrimonio e la gestione, fatto allora inconsulto. Lo stesso
per varie idiosincrasie di Montaigne, di cui Montaigne era conscio, senza nello
stesso tempo dare loro eccessivo peso. Ma è l’opera che ha contribuito per
prima e con più sostanza al revival. E un saggio di grande cultura in tutti i
contesti, oltre che di rianimazione degli archivi, con piglio narrativo.
Coi “Saggi” e tutto, Montagne fu del
resto uno come tutti: non sapendo (volendo, potendo) più dedicarsi agli affari,
evita il rischio che il suo maestro Seneca aveva individuato, di cadere in
quella condizione che oggi si dice depressione, scrivendo le sue paturnie,
anche le deprimenti. Iniziò così i “Saggi”, e li raddoppiò e triplicò a ogni
rilettura, invece di “tagliarli”, come gli avrebbe imposto il moderno editor, semplificarli. La sua prima idea
era di un commonplace book, una sorta
di zibaldone, di chiose, glosse, appunti, promemoria, ma presto si esemplò su
Plutarco, sugli opuscoli, tutti a tema. La saggezza viene assaggiandola.
Sarah Bakewell, Montaigne, l’arte di vivere, Fazi, pp.443 € 19
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