martedì 15 luglio 2014

Appesi da Ciampi e Draghi all’euromarco

Aumentano le tasse, la spesa si taglia, aumenta il debito. Non c’è logica? Certo che c’è, non si può dire ma c’è: non si può ridurre un debito ancorato a una moneta estera, a cambio fisso, si può solo fallire. Come è successo ultimamente a Argentina, Messico, Russia, e altri minori. La Grecia e il Portogallo lo hanno evitato, ma sarebbe stato meglio, ritengono ora, se fossero falliti: una parte del debito non l’avrebbero pagato, una parte l’avrebbero consolidata a scadenze lunghe, e ora sarebbero stati liberi al decollo, invece che sotto inamovibile jugulazione.
L’euro è l’euromarco, una moneta estera. L’Italia, che si era dato l’euro come traguardo e insieme come criterio di politica monetaria, sotto la regia flessibile di Paolo Baffi, vi è approdata col criterio sbagliato di Ciampi e Draghi, del vincolo esterno inamovibile. Sottomettendosi alla Germania e alla Bundesbank ben oltre le loro lecite aspettative
Rileggendo le clausole di Maastricht e dell’euro si resta stupefatti come esse ricalchino le più indifendibili idiosincrasie della Bundesbank. Compreso l’euro a due marchi invece che a uno,  che ha raddoppiato d’un colpo il livello dei prezzi, e ha fatto balzare l’euro da 0, 85 a 1,40 sul dollaro. Mettendo fuori mercato globale la Ue. A meno di non stroncare il costo del lavoro e le retribuzioni, come ha fatto la Germania nel 2006, a fronte di una disoccupazione mai inferiore ai quattro milioni di lavoratori.

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