sabato 12 luglio 2014

Chiedere i danni ai giudici di Palermo

Forse per non restare indietro su Milano, ecco che Palermo la fa ancora più squallida. In Corte d’assise, al famoso processo Stato-Mafia. Ascoltare il presidente del Senato difendersi, da che non si sa, o l’inviato di Napolitano, Marra, fa un’impressione enorme. Per loro, per i loro giudici, per la nostra difesa.
Un teatrino di una volgarità talmente assurda che avrebbe scioccato Jarry, il padre del re Ubu. Prima tentarono  d’incastrare Berlusconi, muovendo tutto il Tribunale all’incontro col pentito di Dio Spatuzza. Poi Spatuzza fece ridere e ci tentarono con Ciancimino jr., piccolo criminale che si è divertito un sacco a loro spese, di giudici e procuratori. Infine con Napolitano e con Grasso.
Non grande teatro, roba da guitti. Con tanto di moralismo piccolo borghese. Però, stringe il cuore la viltà che si somma alla violenza. Di un presidente del Senato, un presidente della Repubblica, che si discolpano on voce flebile davanti agli inflessibili inquisitori – molti bionde, ossigenate. Che differenza, per dire, con Ciancimino jr., col debole Spatuzza perfino. Che gli stessi giudici, anche le bionde, si aggiogarono.
È una celebrazione della mafia, in un’aula in pompa magna, con giudici e procuratori della Repubblica in ermellino, che si esercita a Palermo. A periodicità teatrale, da un lustro, forse più. Inimmaginabile se non succedesse. Anche perché serve a evitare altre condanne, lo Stato-mafia monopolizza tutto. Negli anni di Messineo, potrà dire il futuro storico della mafia, la mafia era scomparsa a Palermo.
Forse la responsabilità personale dei giudici, la responsabilità patrimoniale, è avventata. Ma ai giudici di Palermo sarebbe impossibile: non c’è somma che risarcisca di tanto ludibrio. Della legge, dello Stato, di noi che li paghiamo, come contribuenti e come spettatori-lettori. Che li paghiamo perché ci difendano dalla mafia e non ci mettano in ridicolo.

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