Il primo colpo glielo ha dato la
demografia: senza più figli o con un solo
figlio non serve più avere due e tre case, e comunque non più quella del paesello,
della famiglia, delle origini se non della nascita. Il secondo colpo glielo
avevano dato anche le mutate abitudini di vacanza. Non più lunghi periodi, non
più con la famiglia, non più con i parenti, ma vacanze brevi e brevissime, ripetute,
in coppia o anche in solitario, nei luoghi più diversi invece che al solito
posto e in compagnia. Il terzo, e probabilmente definitivo, colpo l’ha assestato
all’Italia dei borghi la tassazione introdotta da Monti, che rende a priori insostenibile
il costo delle case non abitate.
Una letteratura vasta e lusinghiera, di
un certo tipo di famiglia ma anche attaccamento al territorio, e forse l’apprezzamento
più genuino dell’Italia. Delle sue attrattive paesaggistiche e del suo modo di
vita. Un apprezzamento urbanistico sempre più vasto, del borgo come nucleo
sociale, come nucleo abitativo, come nucleo architettonico e paesaggistico.
Nonché, da qualche anno, la scoperta da parte dell’Unesco, della civiltà dei borghi,
che premia con riconoscimenti. Tutto questo potrebbe essere storia passata in
Italia.
Per la prima volta dopo secoli, e anzi
millenni, la disaffezione è diventata marcata. L’Italia “abitata”, degli ottomila
Comuni, li mantiene ancora in vita come unità amministrativa ma in tanti casi
senza più segni di vita. Non degni di nota. In Abruzzo, in Garfagnana, in
Lunigiana, in Calabria si può dirlo come cosa vista: il degrado è sensibile dei
vecchi centri abitati. Si lavora poco o nulla per il restauro. Molte case non si
aprono da anni, con appesi cartelli scoloriti di “vendesi!”.
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