lunedì 28 luglio 2014

Finisce l’Italia dei borghi

Il primo colpo glielo ha dato la demografia: senza più figli o con  un solo figlio non serve più avere due e tre case, e comunque non più quella del paesello, della famiglia, delle origini se non della nascita. Il secondo colpo glielo avevano dato anche le mutate abitudini di vacanza. Non più lunghi periodi, non più con la famiglia, non più con i parenti, ma vacanze brevi e brevissime, ripetute, in coppia o anche in solitario, nei luoghi più diversi invece che al solito posto e in compagnia. Il terzo, e probabilmente definitivo, colpo l’ha assestato all’Italia dei borghi la tassazione introdotta da Monti, che rende a priori insostenibile il costo delle case non abitate.
Una letteratura vasta e lusinghiera, di un certo tipo di famiglia ma anche attaccamento al territorio, e forse l’apprezzamento più genuino dell’Italia. Delle sue attrattive paesaggistiche e del suo modo di vita. Un apprezzamento urbanistico sempre più vasto, del borgo come nucleo sociale, come nucleo abitativo, come nucleo architettonico e paesaggistico. Nonché, da qualche anno, la scoperta da parte dell’Unesco, della civiltà dei borghi, che premia con riconoscimenti. Tutto questo potrebbe essere storia passata in Italia.
Per la prima volta dopo secoli, e anzi millenni, la disaffezione è diventata marcata. L’Italia “abitata”, degli ottomila Comuni, li mantiene ancora in vita come unità amministrativa ma in tanti casi senza più segni di vita. Non degni di nota. In Abruzzo, in Garfagnana, in Lunigiana, in Calabria si può dirlo come cosa vista: il degrado è sensibile dei vecchi centri abitati. Si lavora poco o nulla per il restauro. Molte case non si aprono da anni, con appesi cartelli scoloriti di “vendesi!”.

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